| Pessimismo Cosmico |
| | Un pò di film visti, metto sotto spiler perchè altrimenti viene un post infinito: La Lunga Estate Calda di Martin Ritt (1958). Dopo un primo bilancio di film classici visti, posso dire che per me in ambito di cinema sentimentale, i melodrammi invecchiano mediamente molto di più rispetto alle commedie romantiche, specie se non hanno forza alla base e questo nonostante comunque sia tutt'oggi un discreto film, risente del tempo. In effetti però varrebbe la pena vederlo foss'anche per la presenza nel film di due attori come Paul Newman (che il regista ci mette poco a capire che inquadrandolo per lo più con la sola canottiera, le ragazze sarebbero accorse tutte al cinema) e Orson Welles che condividono molte volte lo stesso frame. Abbiamo in un ruolo minore anche la signora in "giallo" che giovinezza a parte, d'aspetto base è sempre identica e la sfami subito. Per il resto è un melodramma abbastanza ordinario; con un giovane ragazzo bello che viene da fuori nel profondo sud e si scopre essere però colmo di ambizione e pronto a tutto pur di scalzare gli altri per arricchirsi; e abbiamo una famiglia capitalista che controlla tutto il paese e che al suo interno è dilaniata da tensioni represse e conflitti pronti ad esplodere, in primis padre e figlio (Franciosa l'ho preferito a Newman, anche perché scritto e sviluppato un pò meglio) ma anche la figlia insegnante rigorosamente non sposata e che causa tante chiacchiere in giro. in sostanza tra figli inadeguati, spasimanti soggiogati dalle proprie madri e arrivisti senza scrupoli, abbiamo un melodramma che arriva ordinariamente verso la fine e a dispetto delle convenzioni del genere giunge ad una forzosa quanto sbrigativa ed forzosamente buonista conclusione; magari un regista più navigato e capace di Ritt sarebbe riuscito a rendere con sfumature diverse quel finale. Per il resto belle prove d'attori, in primis Franciosa, ma anche Paul Newman riesce a colmare con la sua recitazione, le carenze alla base del suo personaggio (e c'è anche il "bacio alla Newman" per dirla come diceva mia nonna e anche del regista che a mio avviso, non lo valorizza appieno, eppure poteva farlo percepire come un "angelo demoniaco" tramite la sua regia ed invece; tutto questo resta sulla carta ma non espresso in immagini. Welles ha un personaggio molto più ordinario e schematico. L'ambientazione è il pezzo forte del film, la natura verde ed illuminata in modo rigoglioso nella calura del sud, è in netto contrasto con la mentalità bigotta, retrograda e ignorante degli abitanti. Newman vinse a Cannes come miglior attore; in effetti a dispetto della sua bellezza è anche bravo e capace, solo che come ho detto, ho preferito la performance di Franciosa, perciò Newman stacce per ora ^^. Indiscreto di Stanley Donen (1958). Film inferiore a tutti gli altri che ho visto di questo regista, il quale però riesce a condurre discretamente in porto quest'opera sfruttando i suoi due assi nella manica, Cary Grant e Ingrid Bergman. Nutrivo delle perplessità sulla seconda, ma visto il tono da commedia sofisticata impresso da Stanley Donen (prima opera prodotta dal regista, visto che nessuno voleva finanziargliela), fortunatamente Ingrid Bergman riesce ad essere un valore aggiunto piuttosto che fattore di debolezza. Purtroppo la prima parte ingrana con tanta fatica, verbosità a palate e una Bergman ingessata non riescono a dare il giusto scatto al film, fortunatamente però passato 1/3 del film, l'opera carbura sempre più, per poi filare abbastanza bene sino alla fine. Ingrid Bergman nella commedia non ha l'anarchia di una Monroe, né l' ironia svalvolata di Audrey Hepburn (più adatta alla poetica e alla visione del regista); ed infatti Donen fà ridere lo spettatore puntando sul fatto di farle fare forzatamente la sostenuta e la persona seria, in special modo nella scena del ballo (di gran lunga la migliore del film) dove ogni sguardo dell'attrice (che sembra dire "divertiti che dopo ti rovino") è un pezzo di bravura recitativa che mostra la grandezza di questa donna anche quando non è nel suo elemento. Cary Grant naturalmente superiore a lei, visto che la commedia è il suo elemento naturale e quando si scatena nel balletto con le sue scarpette nere è pienamente a suo agio e divertito. In sostanza una commedia di stampo teatrale (palese sin da subito), basata degli equivoci e sulle bugie di Grant sull'impossibilità di sposarsi. Inserti pop tramite i quadri appesi alla parete. Non ho capito i simbolismi del colore delle rose. Che significano la rosa gialla e rossa? Un Uomo per Tutte le Stagioni di Fred Zinnemann (1966). Fred Zinnemann con Un uomo per Tutte le Stagioni arriva a creare la sua opera più sentita e sincera, dove tutto il suo discorso poetico giunge al suo zenit. Thomas Moore è la coscienza umana fattasi carne che non vuole rinunciare alla propria autoaffermazione come individuo e sopratutto come essere umano innanzi allo schifoso conformismo sociale imposta dal sistema, dalle convenienze del momento e sopratutto del re. In effetti quest'opera andrebbe fatta vedere a tutti coloro che gestiscono incarichi di potere, perché sicuramente il 99% di loro se avessero solo 1/1000 della rettitudine morale di quest'uomo, guardandosi allo specchio si sputerebbero in faccia poichè corrotti e marci dentro, pronti a svendere le proprie idee pur di appagare il proprio interesse. Thomas Moore (interpretato da un rigoroso quanto monumentale Paul Scofield) è un uomo non onesto, ma giusto; ma ma giusto non perché ciò che sostiene sia esatto, ma egli è un uomo giusto perché sà che ogni gesto che egli compie, lo fà seguendo le proprie personali intenzioni. La sua è una battaglia in solitudine, ma su questo il regista è chiaro sin da subito tramite l'inquadratura dello stormo degli uccelli che volano in una direzione, per poi focalizzarsi successivamente su una povera anatra che pian piano sul fiume viaggia in direzione opposta. Moore è lontano dalle macchinazioni e dalla corruzione del potere, perché segue semplicemente le leggi degli uomini e quelle proprie della coscienza morale che ogni essere umano in misura e gradazione maggiore o minore possiede. Uno statista che non segue la propria coscienza, è destinato a perdersi nei meandri del potere. Pura utopia forse, ma forse chi più di Thomas Moore può indicarci la strada da seguire in tutte le stagioni ed in ogni tempo e luogo? E' una battaglia contro i mulini a vento certo, ma è interessante notare come il protagonista non voglia giudicare nessuno, né imporre ostinatamente la propria visione, e quando il potere vuole perseguire una strada che cozza contro la propria convinzione, egli decide di lasciare l'incarico. Gli altri come pecore seguono nel fango (non solo fisico) un imbecille di re che per i propri capricci in fatto di donne, porterà allo sfascio e in una dilaniante guerra di religione dopo la propria morte che solo con Elisabetta I troverà una propria conclusione. La regia fredda in questo caso è giustificata, poichè quando Scofield è in scena, è sempre in relazione con un altro e noi spettatori vediamo tutto questo dal punto di vista dei suoi interlocutori che in quanto "pragmatici" ("tengo famiglia"... vale in tutti i tempi ed epoche), non potranno mai comprendere il perché di questo (ed in effetti neanche Moore fornisce una spiegazione univoca, un pò è la coscienza, un pò è l coerenza, un pò è l'orgoglio; fatto sta che egli segue semplicemente la sua natura) e preferiscono la massificazione sociale, perché ben si sà, che il genere umano non è minimamente all'altezza dei suoi uomini migliori. Nel finale incredibilmente la freddezza viene meno e si è pienamente partecipi dell'ingiustizia di cui non siamo più spettatori, ma pianamente empatici verso il nostro protagonista. Oscar meritatissimi in tutto e per tutto per me, nonostante oggi sia praticamente trascurato o quasi dalla critica ignorante; Mereghetti gli dà le solite 2.5 stelline del cavolo. La Gatta sul Tetto che Scotta di Richard Brooks (1958). Eccessivamente esaltato all'epoca con una marea di nomination; oggi è un melodramma datato, ma nonostante questo è un buon film (Superiore alla Lunga Estate Calda precedente di un anno). Il punto forte è un immenso Paul Newman con una perfomance in netto contrasto con la carica isterica di tutti gli altri personaggi che lo circondano. Trattenuto, sà gestire bene gli scatti d'ira e sopratutto mette in scena questo personaggio represso (l'omosessualità viene rimossa, ma Newman riesce comunque a farci percepire che forse... se non proprio omosessuale è bisessuale, qua è tutto lavoro dell'attore) a cui frega poco di continuare a vivere ed affoga la sua vita tra un sorso di Wiskey e l'altro; intesesante notare come tiene in mano il bicchiere con cui giocherella con le mani, piccoli tic che fanno percepire il suo essere oramai un alcolizzato. E' una pellicola che mette in dubbio la mia eterosessualità... stranamente ogni volta che erano in scena Newman e la Taylor... ero attratto magneticamente dal primo... praticamente m'ha annientato Elisabeth Taylor (che non ho trovato così particolarmente brillante, anzi Newman l'asfalta e non sempre ho trovato sia recitativamente che come chimica, si legasse perfettamente con il suo partner). Per il resto, buona gestione degli interni da parte del regista e il ritratto di questa famiglia del sud spietata e iraconda che pensa solo ad arricchirsi con la dipartita del decano della famiglia. Buono l'odio verso questi bambini apparentemente dolci, ma anche loro partecipi di questa farsa familiare. Personaggio interessante quello de padre dopo quello di Newman. Gli altri molto più stereotipati, ma funzionali. Lo Spaccone di Robert Rossen (1961). Piccolo gioiellino; ma non è un mero film sullo sport, ma un ritratto grezzo ed in embrione dell'alienazione di una generazione di tardo giovani che non sa cosa fare della propria vita. Eddie (un Paul Newman per ora alla sua miglior interpretazione) è un talentuoso giocatore di biliardo, ma come il sottoscritto ha un grande problema; l'iper-competitività eccessiva che lo porta a comportarsi da sbruffone e compiere continue spacconate sia gestuali che verbali nei confronti dei suoi avversari. Eddie non ha altro scopo nella sua vita che battere il campione Minnesota Fat; il problema è che anche se riuscisse a batterlo un giorno cosa ne guadagnerebbe alla fine della giornata? Nulla, perchè non ha uno scopo, nè un orizzonte stabile se non vincere e primeggiare in tutti i modi a costo di giungere anche all'auto-distruzione (che non riguarda solo sè stesso). Splendido il bianco e nero che cattura l'atmosfera di fumi ed alcool che si respira in queste sale giochi, tra luci molto forti che portano a sudare e il marcio che frequenta tali posti. Alla fine Eddie forse risolve il problema nel medesimo modo in cui lo risolsi io. Comunque me la cavo discretamente a biliardo e per questo il film mi ha appassionato, anche se credo sia fruibilissimo da tutti. Complimenti a Newman per essere riuscito a fare certi colpi che anche per il sottoscritto risulterebbero molto difficili da eseguire (ma immagino abbiano provato finchè non gli è venuto un take riuscito bene a Rossen), ma credo in alcuni punti vi siano stati degli "stunt" (Rossen inquadra il colpo e poi il giocatore... altre volte sentiamo solo il colpo secco del rumore del contatto delle palle da biliardo, in effetti non credo che Newman e l'altro attore potessero provare all'infinito finchè non gli veniva buona, certi colpi sono da professionista navigato). Forse un capolavoro piccino, ma potente ed un personaggio che giustamente ha consegnato all'immortalità l'attore. Tom Jones di Tony Richardson (1963). Il periodo degli oscar per quanto da combattere, non so perchè fà sempre sorgere la voglia di recuperare qualche film passato che ha vinto la statuetta principale. Tom Jones siccome è pre-70' e poi c'era anche Albert Finney di cui di recente avevo visto un film e rivisto altri, m'ha spinto ad un recupero facendo un salto nel buio. E' il primo film del free-cinema inglese che vedo ed in effetti non è proprio in topic, ma siccome ha vinto l'oscar credo che non ci saranno contestazioni in proposito e sia quindi in topic. Man mano che passavano i minuti, mi ha stupito sempre più la scelta da parte dell'academy di far vincere tale pellicola e credo sia la scelta più anti-convenzionale di tutta la sua storia visto che la regia tutto mi pare, tranne che intrisa di "rigore classico". Avevo assaggiato tale stile in Due per la Strada di Donen, ma qui Richardson è totalmente libero e tra transizioni e dissolvenze di montaggio di tutti i tipi, velocizzazioni, inizio tipico da film muto, fermo immagine, sfondamento deliberato della quarta parete etc... confezione un'opera in costume dallo stile originale e anti-formalistica poichè sfocia nell'anarchia stilistica totale (magari dopo un pò troppo esibita e unica motivazione che regge un paio di parti centrali che sono un pò più ripetitive o comunque di stanca). Albert Finney è un attore sottovalutato credo, ma dimostra sempre di avere notevoli doti recitative che lo proiettano tra i migliori di sempre a mio avviso. Sbruffone, a-morale e libertino, ma Tom Jones si comporta così perchè questa è la sua natura e questo è il suo sentire; non gli interessa essere anti-sistema o conformarsi a ciò che gli altri nobili vogliono da lui (anzi egli vorrebbe sposarsi con una ragazza nobile, quindi non fà altro per comportarsi per ciò che è). Tony Richardson fà ampia critica sulla classe aristocratica (basta vedere la scena della caccia) composta in teoria da gente rispettabile, ma alla fine opportunista, affarista e anche se esplicitamente volgare, alla fine quando devono pensare a sè stessi, ritrovano l'atteggiamento reazionario proprio della classe sociale d'appartenenza. Più che uomini, sembrano bestie dedite a tutti i vizi possibili ed immaginabili. Tom Jones è un'uragano di comicità e di pura vita che con la tempesta che scatena al suo passaggio scombussola tutto lo status quo dell'ipocrita aristocrazia di cui nonostante sia membro "illegittimo", comunque ne fà parte. Anche la ragazza di cui è innamorato che fà sempre la borghesina-aristocratica moralmente ineccepibile, alla fine è attratta dal vento di passione e lascività portato da Tom Jones, solo che c'è un problema... Tom Jones non è fatto per stare con una sola donna, poichè tutte le donne amano Tom Jones. Un film in costume originalissimo, divertente e dallo stile registico fresco ed innovativo. Oscar miglior film meritato per questo piccolo capolavoro, miglior regia... c'era il maestro Fellini in Regia quell'anno per 8 1/2, ma vabbè, non ha perso contro una schiappa. Una pellicola dimenticata al giorno d'oggi, ma credo assolutamente da riscoprire. The Post di Steven Spielberg (2018). Purtroppo mi è piaciuto e l'ho trovato un buon film, agli altri invece non é piaciuto per niente. È un film corale, i nomi di Hanks e Streep fungono da specchietto per allodole visto che pur essendo i protagonisti, comunque non sovrastano in screentime gli altri. Personaggi classici certo, ma efficaci e che il regista sfrutta per veicolare un pieno le sue idee. Il prologo m'è piaciuto poco, o meglio non m'ha convinto come scelta, avrei optato per altra soluzione poiché fa' vedere allo spettatore subito che la guerra in Vietnam è un fallimento; avrei giocato sulle informazioni vere, fake news etc... perché ciò che manca è la voce del popolo. Viene detto che la stampa serve chi è governato... bene, il popolo dove sta? È tenuto clamorosamente fuori da tutto questo e dalla assordante propaganda governativa che lo rincoglionisce con notizie false sul Vietnam. Vediamo per 2-3 inquadrature gli hippy, ma la maggioranza silenziosa dove sta? Ed essa sosteneva Nixon. Peccato perché poteva rendere questo film pienamente moderno e immerso nei nostri tempi anche se guardava ad un lontano passato.
Interessanti le tre inquadrature fuori la casa bianca in stile thriller complottista; come il miglior Stone . Il potere non lo vedi, non ha volto, ma è ovunque ed in tutto e tutti. Nell'edificio più sicuro ed in vista del mondo, il presidente complotti e và in paranoia sempre più, un accostamento stridente e per questo inquietante. Giusto ribadire come il potere faccia schifo e buono il fatto di accusare tutte le amministrazioni, compresa quella dell'ingiustificatamente osannato Kennedy che era uguale a tutti gli altri. Molti piani sequenza orizzontali che seguono il gruppo per poi farsi singolo e la frenesia dell'uscita dalle porte. Buona la sequenza della stampa dei giornali con gli ingranaggi e l'inchiostro, ma non ho gradito molto la scelta di far tremare la scrivania; la stampa del giornale é un qualcosa di quotidiano no? Perché quindi enfatizzare così? Non stai facendo niente di eccezionale se non svolgere il tuo compito e servire chi è governato. La sequenza migliore è la chiamata a quattro a casa della Streep; ansiogena, asfissiante, confusa (nel senso che vi sono opinioni divergenti che si accavallano e tutte giuste) ma liberatoria visto che il personaggio della Streep acquista la sua coscienza civile andata perduta. In effetti il personaggio di Hanks è la coscienza morale che serve a svegliare dal sonno la coscienza civile del personaggio della Streep, immerso nella vita borghese fatta di feste, illusioni e conformismo allo status quo. Tutta questa situazione fa' emergere bel finale il suo carattere represso dai suoi colleghi maschili ed urlare in faccia ad investitori ed amministratori le sue idee civili. Avrei evitato la stucchevole passerella fuori dalla Corte suprema dove solo le donne la guardano ammirata, non m'è piaciuta troppo falsa e retorica ed ammiccante al Movimento femminista che impera in america. Il coraggio della Streep è un qualcosa che doveva essere al servizio di tutta la nazione e non solo delle donne; così finisci per renderlo partigiano. Finale retorico con le classiche inquadrature sui volti in attesa del verdetto e l'enfasi retorica sulla sentenza della Corte, ma tutto riscattato dall'immagine finale della filiera dei giornali in stampa e i nostri due protagonisti che camminano, loro due sono la vita ed il giornali Il DNA; cioè l'informazione... una riflessione potentissima in una sola inquadratura. Il finale rende omaggio al sequel Tutti gli uomini del presidente ma non l'ho visto ancora.
Sulla Streep... non mi piace come attrice anche se l'ho vista in pochi film (l'apprezzo solo nel Cacciatore è I ponti di Madison County) e la trovo esaltata troppo dai fanboy e fangirl. Ma per onestà intellettuale devo dire che il doppiaggio era abbastanza osceno e quindi non posso giudicare la sua perfomance. Ora vorrei dire una cosa, io sono nettamente pro doppiaggio ed in linea generale ascolto un film doppiato (almeno a prima visione) e lo vedo in lingua originale solo se :
- Non ha una versione italiana. - So che l'adattamento è sbagliato. - È un film che ha senso solo vederlo in lingua originale per sue peculiarità lingiistico-espressive. - Il film è un musical. - Nel film vi è una delle mie 10-15 attrici preferire o 10-15 attori preferiti, allora mi viene voglia di sentirli in originale.
Detto questo, cara Maria Pia di Meo, ti ringrazio sentitamente per il tuo egregio lavoro decennale di doppiaggio di leggendarie attrici come Audrey Hepburn e Shirley Maclaine, ma anche tante altre che non mi vengono in mente se non Faye Dunaway, Julie Andrews o Julie Christie però... il tempo è passato, queste attrici oggi vedendo la loro carta di identità hanno tutte sui 70-80 anni e la prima è anche defunta da tempo. Ora con tutto il rispetto per la sua carriera, ma se non ce la fa' più a doppiare... lasci il posto ad altre doppiatrici, perché Streep non ha neanche 70 anni e con questo doppiaggio sembra una vecchia di oltre 80 in piena fase terminale ecco. Molte volte ero trasportato fuori dal film quando la sentivo. E se lo dico io che non me ne lamento mai...
Che posso dire alla fine? Un buon film dai ed è tanto ammetterlo per me. Avrei evitato il prologo, poche ambiguità nei protagonisti (Lincoln superiore a questo come film, quello é un ottimo film), la passerella finale pure e ho trovato che le linee narrative della Streep e di Hanks non sempre convergessero o comunque si pagassero tra loro fluidamente. Registicamente è veramente buono se non ottimo addirittura (anche se c'è qualche leziosismo di troppo come nel primo dialogo del film con la Streep al tavolo, troppa compiaciuta la regia ed il ritmo cala un casino... forse però m'ha traumatizzato la voce al personaggio della Streep). Un film da vedere una volta visti i tempi. Il Filo Nascosto di Paul Thomas Anderson (2018). Tra immagini di involucri vestiari non alienanti e personaggi artefatti; si disvela a fatica il cuore celato nella fodera della stoffa essendo tutto immerso in un'atmosfera da camera mortuaria. Edited by Pessimismo Cosmico - 4/3/2018, 19:04
| | |
| |
|