Che film hai visto?, pareri e recensioni

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MAN of STEEL
view post Posted on 7/6/2018, 21:26     +1   +1   -1




Allora, Dogman.

Ennesimo grande contributo garroniamo al cinema italiano, un film riuscito sotto ogni punto di vista. Garrone è da anni una certezza e si conferma ancora una volta cineasta intelligente, padrone del mezzo, spontaneo e necessario.

Crea un’opera capace di restare vividamente impressa nella memoria, un western contemporaneo che non esibisce coordinate temporali precise da incasellarlo in un periodo, sebbene sia ambientato in epoca attuale. Una scelta felice che lo allontana dal fatto di cronaca del Canaro della Magliana, permettendo all’autore di impossessarsene e di ripercorrere i morbosi rapporti di necessità e bisogno de L’Imbalsamatore, senza ripetersi o sfociare nel manierismo. La violenza non è catartica ma è inevitabile strumento di dialogo, chi la assorbe entra in un circolo vizioso che porta all’autodistruzione.

Traboccante di umanità e realismo, l’interpretazione di Marcello Fonte si rivela indispensabile e capitale, un volto cinematografico di irrinunciabile carisma. Meritato vincitore a Cannes.
 
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view post Posted on 14/6/2018, 08:30     +1   -1
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Film visti negli ultimi 10 giorni:

...e poi lo chiamarono il Magnifico (E.B. Clucher)
Kickboxer: Vengeance (John Stockwell)
Kickboxer: Retaliation (Dimitri Logothetis)
The last face (Sean Penn)
The Post (Steven Spielberg)
Three days of the Condor (Sidney Pollack)
Ares (Jean-Patrick Benes)


Edited by MAN of STEEL - 15/6/2018, 15:28
 
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Pessimismo Cosmico
view post Posted on 20/6/2018, 13:24     +1   +1   -1




Ore Disperate di William Wyler (1955).

William Wyler è stato uno dei registi più geniali che abbiano lavorato ad Hollywood; vincitore di 3 oscar alla miglior regia e avente una carriera di oltre 40 anni a livelli elevati. Regista capace di notevole eclettismo, capace di passare con disinvoltura dal noir al melodramma sino all'epico, tutti con bei risultati. I suoi film più famosi sono Vacanze Romane (1953) e Ben-Hur (1959), ma come nella maggior parte dei casi, non sono i film migliori del regista che amava esaltarsi quando si ritrovava a girare film drammatici e pellicole ambientate in luoghi chiusi o con location limitate; Ore Disperate (1955) appartiene al secondo filone.

Dopo il grosso successo di pubblico e critica di Vacanze Romane (ma freddamente accolto dai critici europei), Wyler sceglie di ripiegare su un piccolo thriller-poliziesco da camera vista l'ambientazione al 90 % in un unico luogo, una casa a due piani appartartenente ad una famiglia borghese per bene composya da 4 componenti che si ritrova a dover fronteggiare 3 criminali appena evasi capitanati da Glenn Griffin (Humprey Bogart) che li tengono in ostaggio.
Wyler più che sulla famiglia, decide di concentrarsi sui criminali e sul dualismo-antagonismo tra Griffin e il padre di famiglia Dan Hilliard (Fredrich March).

Wyler più che sulla famiglia borghese, mira a conferire dignità umana ai criminali, vittime di un sistema benpensante che li vede come pura e semplice feccia che deve essere tenuta fuori dalla società civile e dai posti rispettabili (vedasi il rottame della bicicletta lasciato fuori casa e che nessuno si prende la briga di portarlo dentro). Più che sull'azione, Wyler si concentra sulle psicologie tra i personaggi e l'atmosfera divperenne oppressione che si instaura tra le mura della casa, per via della convivenza forzata. Il terrore si insinua nei personaggi

La regia di Wyler è una delle più sobrie ed efficaci, capace di azzeccare sempre il posizionamento della macchina da presa e conferire il giusto ritmo al film con il montaggio. Il regista da sempre abile ad evitare da teatralità nei suoi film, riesce sempre a trovare espedienti interessanti come l'uso dei soffitti e l'utilizzo della profondità di campo per dare maggior senso cinematografico alla messa in scena. La scena più riuscita di tali abilità tecniche, può riscontrarsi nella telefonata della figlia maggiore al fidanzato e la mdp dal basso inquadra mettendo a fuoco i personaggi in primo piano e quelli in lontananza situati al secondo piano.

Pezzo forte di Wyler è l'accorta direzione degli attori; Bogart già con evidenti sintomi del cancro che lo avrebbe ucciso di lì a poco, risulta credibile come criminale e la malattia dell'attore non fa' altro che rendere tangibile le privazioni che tale uomo ha subito nel duro regime carcerario. Bogart dà vita ad un crimimale carismatico, psicologicamente un passo avanti a tutti e dalla grande intelligenza, non scedendo in facili stereotipi interpretativi, in sostanza dà vita ad una delle sue migliori interpretazioni; mentre March conferma la sua fama di grandissimo attore sottovalutato e sbozza un eccellente interpretazione di un padre che deve combattere su due fronti, contro i criminali e poi nel tenere a bada l'irruenza dei suoi familiari.
Ore Disperate al giorno d'oggi è un film ancora efficace, magari con un po' di polvere accumulata sopra e un finale un po' consolatorio (ma siamo a metà anni 50'), ma alla fine ottimo. C'è di sicuro più Wyler qui che in Ben-Hur e Vacanze Romane messi insieme. Pellicola rifatta nel 1990 mediocremente da Cimino, con Rourke e Hopkins come protagonisti e assolutamente ridicoli in confronto a Bogart e March.



I 400 Colpi di Francois Truffault (1959).

Primo film di Francois Truffault, che fatto proprie le esperienze di critico sui Cahiers du Cinemà e la visione del cinema propria di Andrè Bazin (morto il giorno prima delle riprese e a lui il film è dedicato); crea con i Quattrocento Colpi nel 1959 un vero e proprio manifesto del cinema che darà vita alla Nouvelle Vague, corrente cinematografica che avrà vita per 5-6 anni per poi estinguersi; ma lascerà un patrimonio inestimabile per le future generazioni di cineasti.
Con quest'opera siamo innanzi ad una pellicola speculare che inizia con una carrellata degli esterni di Parigi e uno sguardo alla Torre Eiffeil da un punto di vista differente dai soliti, stagliandosi tra alberi malmessi e edifici malmessi (Vedere per esempio Cenerentola a Parigi di Donen di appena due anni prima; che dava dell'edificio simbolo di Parigi una rappresentazione classica e stereotipata); per poi concludere il tutto con due carrellate che mostrano la fuga del protagonsita Antoine Doinel (Jean Pierre Leaud) verso il mare.

Tolte quindi la carrellata iniziale e quella finale che sono i momenti con maggior dinamismo del film, la pellicola si concentra per lo più negli spazi chiusi di tre edifici che hanno anche una funzione simbolica; l'aula di una scuola (l'istruzione), la casa di Antoine (la famiglia) e la caserma della polizia e riformatorio (l'autorità). La figura del protagonista Antoine è modellata sicuramente su quella del regista (che a quanto sembra non andava molto bene a scuola da piccolo e comunque, non ha mai conseguito un grado di istruzione elevato), visto il suo carattere ribelle ed insofferente a qualsiasi attività. La scuola per lui è un'inutile perdita di tempo, perchè come dichiara, non riesce ad imparare mai un bel nulla e quando ad un certo punto, dietro l'incentivo di 1000 franchi se fosse riuscito a fare un tema di francese con un bel voto, si impegna anima e corpo nello studio (riportando una citazione da Balzàc), il professore (con cui c'è una forte faida) lo ripaga con uno zero accusandolo di plagio; in sostanza Antoine è un bambino perennemente oppresso anche se tenta di conformarsi al sistema.

D'altronde l'ambiente familiare non è dei migliori; chiuso in una casa piccola quanto soffocante per i continui litigi dei suoi genitori, ai quali tenta di sfuggire chiudendosi nell'oscurità della sua minuscola cameretta, Antoine è vittima tanto di una madre assente che tradisce il marito (e da qui il ragazzino si inventerà una bella giustifica a scuola dicendo che è morta la madre), quanto di un padre che è un buono a nulla nel lavoro e che probabilmente, non ha mai amato troppo il bambino avuto in precedenza dalla moglie.

Antoine ha dei problemi e il suo comportamento ovviamente non è sempre da giustificarsi, ma la combinazione letale di un professore miope e di una madre e un padre assenti quanto incapaci di dargli un'educazione, portano il ragazzino ad alienarsi dal contesto dei rapporti con gli adulti (visti tutti alla fine come dei retrogradi reazionari e anche incapaci) per sfogarsi con la lettura e in scoribande con il suo amico Renè, con cui spesso marina la scuola. I Quattrocento Colpi mostra in modo sconcertante il fallimento di tutte le istituzioni che alla fine non riescono ad educare le nuove generazioni e risultano prigioniere di un pensiero idiota basato sulla ferrea disciplina e sul ricordo dei bei tempi andati (che poi erano veramente belli?).

L'impietosità del fallimento delle autorità, è ritratto impietosamente da una macchina da presa che non nasconde nulla di Parigi e che filma la realtà in esterna per quello che è, senza interventi di ri-costruzione o altro, atti ad alterare il paesaggio urbano. Muri sporchi, edifici vecchi e strade colme di sporcizia fanno da sfondo alla parabola umana del piccolo Antoine che si ritroverà a crescere in fretta e passare all'età adulta (impietoso il racconto che il ragazzino con sconcertante schiettezza fà delle sue esperienze in strada alla psicologa del riformatorio). Apprezzabile l'abilità del regista di essere riuscito a fare un ritratto si duro delle istituzioni, ma senza scadere in stupidi manicheismi o calcare la mano negli isterismi degli adulti, grazie anche ad una certa comicità caustica in talune situazioni (come la giustifica della morte della madre, che unisce umorismo con la spietatezza della totale sfiducia del ragazzo verso la donna).

Vincitore del premio miglior regia a Cannes, e nominato come miglior sceneggiatura agli oscar; I Quattrocento Colpi ha superato in modo egregio la prova del tempo ed è perfettamente fruibile anche nel nuovo millennio. Consigliato anche ai ragazzi per via del contenuto che può riguardarli da vicino nella loro vita reale. Non hanno nulla da temere dall'eventuale osticità dell'opera, visto che il film è molto più narrativo e facilmente fruibile rispetto a Fino all'Ultimo Respiro di Godard (1960), che risulta invece un film molto più radicale nello sperimentalismo del linguaggio del cinema e della narrazione.



Scaramouche di George Sidney (1952).


Qualche centimetro di polvere si è depositato sicuramente su Scaramouche (1952), specie perché diretto da George Sidney, regista di film musicali e in costume per lo più, ma di certo non un risulta essere uno dei big della sua epoca e né tra i registi di "seconda" o "terza" fascia più importanti e quindi incapace di dare quei tocchi in più necessari per tirare fuori un grande film, capace di sopravvivere intatto o quasi allo scorrere del tempo e non solo un semplice "cult", che per quanto delizioso, risulta legato al suo tempo.

Il film miscela insieme; melodramma, duelli all'ultimo sangue, tinte forti, commedia alta e bassa, forti passioni, un po' di politica e tanta azione, in sostanza riesce ad accontentare un po' tutti ed è questa la formula del suo successo. Il pubblico femminile si interesserà al tira e molla del nostro André Moreau (Stewart Granger) conteso da Leonore (Eleanor Parker da slurp) e Aline (Jenet Leigh meno da slurp), il pubblico maschile più incline all'intrattenimento sarà intetessato al lato action derivato dalla vendetta di Moreau contro il Marchese Noel (Mel Ferrer), l'appassionato di cinema godrà delle prodezze tecniche adoperate dal regista nei duelli ed infine, i più intellettuali potranno cimentarsi nei discorsi politici (il film è ambientato all'alba della rivoluzione francese del 1789) e nelle riflessioni sulla maschera e della commedia dell'arte, senza vergognarsi di aver visto per un giorno un film di intrattenimento Hollywood e non il solito cinema con i sottotitoli tubetani in bianco e nero. Scaramouche cela la sua identità dietro una maschera di giorno recitando la parte del buffone, mentre la notte si allena di spada per compiere la sua vendetta... volendo fa' molto personaggio da cinecomics (quello fatto bene però), ma senza lo sviluppo schematico di esso (il nostro protagonista subito si scontra con Noel, non avanza di grado con scontri contro personaggi più deboli).

Messa in scena impeccabile nei costumi e nella fotografia in technicolor molto efficace nei suoi colori pittorici a tinte forti. Più che sul protagonista (molto libertino nei suoi rapporti con le donne e anche un po' caciarone, poco interessato alla politica e tanto alla vendetta), il personaggio interessante è il Marchese Noel; ultimo ma coriaceo esponente di una classe aristocratica che verrà spazzata via di lì a poco dalla borghesia. Mel Ferrer non è per niente un grande attore, ma in questo film probabilmente è alla sua migliore interpretazione; il regista gli conferisce un'aura di magnetica potenza, che ne fa' un villain riuscito, poiché agli occhi dello spettatore risulta imbattibile come spadaccino.
Ferrer conferisce al personaggio, grazie al suo viso aristocratico dai tratti corvini, la necessaria freddezza senza che diventi macchietta, tratteggiando un marchese dal senso dell'onore distorto.

Il pezzo forte di Scaramouche è rappresentato dai duelli e dalle coreografie complesse alla base di essi. I due protagonisti sono entrambi già abili di loro con la spada e duellano tra loro come se stessero danzando. Il regista sfrutta appieno il terreno di scontro del teatro per creare il duello più lungo della storia del cinema (circa 7 minuti), dove vi sono angoli di ripresa di tutti i tipi, carrelli, gru e panoramiche che conferiscono ampio dinamismo all'azione grazie a due attori che non si sono risparmiati (Stewart Granger rimedio' uno strappo ad una gamba nella scena del salto sul divano) e rendono tangibile il rumore delle spade e la fatica del duello. È uno scontro tra animosita'passionale (Moreau) e freddezzza calcolatrice di chi sa' (o meglio si ritiene) di essere imbattibile (Noel). Ci troviamo innanzi ad un'azione ben lontana dalla patinatura levigata del cinema digitale odierno, che uccide qualsiasi epica nell'azione e nei combattimenti, a favore di una plasticosa artificialita'.
Scaramouche non è perfetto; qua e là presenta i segni del tempo e la sceneggiatura ha dei buchi di scrittura e risoluzioni non soddisfacenti del tutto, legati in primis alle troppe rivelazioni sulle origini di André Moreau e alla linea narrativa del marchese Noel lasciata aperta; ma comunque é un buon film e tra i migliori cappa e spada di sempre, nonché imprescindibile tappa per chi fosse interessato alla storia del cinema d'azione.




La Folla di King Vidor (1928).

Della serie di documentari dedicati alla storia del cinema; Story of Film di Counsins, ho visto per ora solo i primi 2 dischi e in uno di essi, l'autore parlava di King Vidor e del cinema degli anni 20', mettendo in primo piano nella sua trattazione il suo film La Folla (1928); mi sembrava interessante solo che non l'ho mai recuperato sino a poco tempo fà e non ha deluso per nulla le aspettative che si portava. King Vidor và in netto contrasto con tutta la concezione americana del cinema dell'epoca (ma anche odierna), dove Hollywood è l'emblema della fabbrica dei sogni e delle belle speranze. Sin dagli albori al pubblico sono piaciute le storie d'amore, alle quali ci si è appassionato fortemente e Vidor gliene porge una su un piatto d'argento, solo che al narrare di essa compie un gesto molto anti-Hollywoodiano; cioè distrugge e fà a pezzi per la prima volta l'ipocrisia del Sogno americano, di cui la propaganda cinematografica s'è fatta portatrice sin dagli albori. Vidor oltre alla regia, ne cura anche la sceneggiatura così da poter imprimere al meglio il suo forte pessimismo cosmico sulla società di massa odierna (se oggi è raro che ad Hollywood un regista scriva la sceneggiatura del suo film, all'epoca era un qualcosa di fuori dalla realtà presumo).

La Folla più che un film è un vero e proprio trattato sociologico, dove abbiamo per protagonsita John Sims (James Murray), nato il 4 Luglio del 1900 (anniversario dell'indipendenza americana), il cui padre pensava fosse destinato a realizzare grandi cose e ad emergere dal caotico flusso della "folla". Di anni ne sono passati oltre venti e il nostro John ha trovato anche una bella e premurosa moglie di nome Mary (Eleanor Boardman); ma i suoi sogni di ragazzino di diventare qualcuno sono morti da un pezzo e svolge mestamente il suo lavoro di impiegato, tirando a campare tra tante difficoltà.
In sostanza è la storia di un uomo "mediocre" come tanti (tipo il 99% della popolazione mondiale), che aspirava a tanto e credeva di poter governare New York, quando invece la metropoli potrebbe fare benissimo a meno della sua presenza poichè La Folla è un collettivo che non necessita di identificarsi in un individuo, il quale deve seguire mestamente il flusso senza avere alcuna possibilità di poter tentare un'astrazione da essa, poichè tale gesto sarebbe una follia. In questo gioco della vita c'è chi tra varie circostanze riesce ad andare avanti e chi invece resta fermo al palo sgobbando come un mulo per tutta la vita per uno stipendio misero.
La Folla è una mostruosità vitale che si muove a flusso continuo senza sosta, perpetuamente felice e perennemente sorda alla tragedia individuale dei singoli uomini che vivono anche drammi forti, ma il massimo che possono ottenere è un'attenzione momentanea di un giorno, poi però il flusso deve continuare, perchè la Folla non può fermarsi per una sola persona.

L'unica possibilità di poter trovare uno spazio individuale, è il rapporto con i propri congiunti in casa propria, ma la società di massa industriale minaccia il nucleo familiare in modo perenne (il treno fuori la casa che passa in continuazione) e gli stessi parenti altro non sono che vipere arriviste che pensano solo al lavoro e all'aumento di stipendio. John è fortemente stressato da tutto questo, sentendosi un fallito perchè svolge un lavoro che non lo gratifica, è parte di una società sorda al suo dolore (che male la scena al lavoro quando lui che pensa alla figlia che non c'è più) e ha dei parenti che lo considerano un buono a nulla. Il matrimonio che sembrava non poter mai avere fine come lo scorrere delle cascate innanzi alle quali teneramente si baciano John e Mary, diventa sempre più una gabbia e la frustrazione tra i due coniugi aumenta sempre più, rinfacciandosi difetti l'un con l'altro; ma l'unica possibilità per poter sopravvivere in una Folla che andrebbe comunque avanti senza di noi, è quella di avere un conforto con un altro essere umano; potente e struggente sono in proposito i numerosi primi piani dedicati ad un'imbarazzata Mary che dichiara di essere incinta, la cui notizia riempe di felicità John, portando così alla riappacificazione tra i due coniugi.

Vidor ha il coraggio per la prima volta di narrare l'altra faccia del sogno americano, quella più dura, realista e disumana; inoltre ha anche la sfacciataggine di raccontare il secondo tempo della relazione tra uomo e donna, cioè quello che viene dopo il vissero felici e contenti, quando di solito i film romantici si fermano con la loro narrazione. In effetti conto una decina scarsa di film che in oltre 100 anni di storia del cinema, si focalizzano sul matrimonio e sulla vita coniugale e Vidor, con un'anticipo sui tempi di oltre 30 anni sulle varie avanguardie anni 60', ci mostra questo lato così poco esplorato anche da film recenti. Riassumendo in un'unica parola, King Vidor nell'industria dei sogni, porta la quotidianetà del realismo moderno, avvalendosi anche di tecniche registiche all'avanguardia che cosnentono al film di essere perfettamente fruibile non solo nel messaggio, ma anche nel linguaggio cinematografico ad oltre 90 anni dalla sua uscita. Macchine da presa nascoste immortalano il flusso della Folla quotidiana, che avvolge le grandi metropoli con un realismo spontaneo e schietto, teleobiettivi posizionati in alto e che mano a mano si avvicinano al singolo individuo seduto alla scrivania, ci fanno percepire lo sguardo del regista, così come tecnicismi arditi come la mdp sullo scivolo che filma i personaggi divertirsi sull'attrazione, sino ad intensi primi piani umani e simbolismi interessanti come le rapide del fiume che sfociano in una cascata per simboleggiare un rapporto sessuale tra i due coniugi immersi nella natura lontano dalla caotica metropoli.

La Folla nonostante sia un film muto e possa essere visto come un film appartenente ad un'epoca remota, è una pellicola assolutamente moderna e degna di essere considerata un capolavoro totale (l'infleuenza è molto forte sui film successivi, praticamente Wilder con L' Appartamento deve qualcosa a questo film). Non fu un grande successo (in effetti uscì in piena crisi economica) nonostante un finale più mitigato ed aperto (altra novità per l'epoca) voluto dalla produzione; ebbe solo due nomination all'oscar e venne sconfitto per miglior film da Aurora di Murnau, mentre la regia non datagli fu un furto clamoroso visto che Murnau non c'era nella categoria. Abbastanza inspiegabile a mio avviso la mancata nomination per i due attori protagonisti nelle loro categorie, specie per la Boardman che offre una delle perfomance più intense che si siano viste nella storia del cinema.
 
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view post Posted on 24/6/2018, 17:36     +1   +1   -1
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Quel maledetto treno blindato (Enzo G. Castellari)
Kill the Irishman (Jonathan Hensleigh)
S.W.A.T. (Clark Johnson)
The Juror (Brian Gibson)


Edited by MAN of STEEL - 24/6/2018, 20:47
 
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Sing Sing (Sergio Corbucci)
L'insulte (Ziad Doueiri)
Avenging Angelo (Martyn Burke)
Anon (Andrew Niccol)
Death Wish (Eli Roth)
Profumo di donna (Dino Risi)
Indecent proposal (Adrian Lyne)


Edited by MAN of STEEL - 27/7/2018, 12:28
 
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The pioneer

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A breve mi cimenterò con questi due capisaldi:

Metropolis - I sette samurai.
 
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view post Posted on 15/8/2018, 07:43     +1   -1
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Spartacus (Stanley Kubrick)
The gambler (Rupert Wyatt)
Il ragazzo invisibile - Seconda generazione (Gabriele Salvatores)
Everybody wins (Karel Reisz)
Quanto basta (Francesco Falaschi)
Cross of iron (Sam Peckinpah)


Edited by MAN of STEEL - 19/8/2018, 10:30
 
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view post Posted on 8/9/2018, 13:49     +1   -1
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Signore del crimine

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La Folla nonostante sia un film muto e possa essere visto come un film appartenente ad un'epoca remota, è una pellicola assolutamente moderna

Se quella è una pellicola "moderna" considerando che è del '28 quale dovrebbe essere una pellicola antica?

CITAZIONE
Quel maledetto treno blindato (Enzo G. Castellari)

Ho chattato su fb con Castellari ^_^ Se non lo riscopriva Tarantino sarebbe caduto nell'oblio.
 
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view post Posted on 9/9/2018, 16:56     +1   -1
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Once upon a time in Venice (Mark Cullen, Robb Cullen)
Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto (Lina Wertmüller)
Insidious: The last key (Adam Robitel)
Ready player one (Steven Spielberg)
Steve Jobs (Danny Boyle)
Happy death day (Christopher Landon)
Swiss army man (Dan Kwan, Daniel Scheinert)
F.I.S.T. (Norman Jewison)
Confessions of a dangerous mind (George Clooney)
Avengers: Infinity war (Anthony Russo, Joe Russo)


Edited by MAN of STEEL - 4/1/2019, 03:52
 
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Lone Fire
view post Posted on 12/9/2018, 19:02     +1   -1




Aspettando Buster Scruggs, questi sono i miei preferiti dei Coen Bros


The Man who wasn't there
Barton Fink
The Big Lebowski
The Hudsucker Proxy
Fargo
Raising Arizona
No Country for Old Man
Hail, Caesar!
Inside Llewyn Davis
A Serious Man
Miller's Crossing
Blood Simple
Brother, Where art thou?
Burn After Reading
True Grit
The Ladykillers
Intolerable Cruelty
 
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Easy Rider (Dennis Hopper)
Promised land (Gus Van Sant)
Mark Felt: The man who brought down the White House (Peter Landesman)
Deadpool 2 (David Leitch)
Hostiles (Scott Cooper)
Crooked House (Gilles Paquet-Brenner)
The Captive (Atom Egoyan)


Edited by MAN of STEEL - 4/1/2019, 03:53
 
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view post Posted on 20/10/2018, 15:56     +1   -1
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La Vie d'Adèle - Chapitres 1 & 2 (Abdellatif Kechiche)
Il segreto del bosco vecchio (Ermanno Olmi)
Bull Durham (Ron Shelton)
A mezzanotte va la ronda del piacere (Marcello Fondato)
Paterno (Barry Levinson)
Turbo Kid (François Simard, Anouk Whissell, Yoann-Karl Whissell)
Boksuneun naui geot (Park Chan-wook)
Den of thieves (Christian Gudegast)
Jurassic World: Fallen kingdom (Juan Antonio Bayona)


Edited by MAN of STEEL - 4/1/2019, 03:53
 
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Pessimismo Cosmico
view post Posted on 3/1/2019, 15:35     +1   -1




Di Jurassic World ho visto solo il primo, e rappresenta ciò che non và nel blockbuster odierno tra attori cani, registi pezzenti e fotografia che fà sembrare tutto finto anche se ripreso in luoghi reali.

Edited by MAN of STEEL - 4/1/2019, 03:54
 
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view post Posted on 3/1/2019, 17:42     +1   -1
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CITAZIONE (Pessimismo Cosmico @ 3/1/2019, 15:35) 
Di Jurassic World ho visto solo il primo, e rappresenta ciò che non và nel blockbuster odierno tra attori cani, registi pezzenti e fotografia che fà sembrare tutto finto anche se ripreso in luoghi reali.

Sì esatto, e il secondo non è meglio.

Edited by MAN of STEEL - 4/1/2019, 03:54
 
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view post Posted on 21/1/2019, 01:42     +1   -1
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The pioneer

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