CITAZIONE (MAN of STEEL @ 6/4/2018, 02:58)
Non che ci volesse molto, ma è il miglior Spielberg "d'evasione" da tanto tempo, almeno da War of the Worlds. È una creazione genuinamente anni '80, nel senso che potrebbe essere un film di quell'epoca e lo è molto più di tutto quel carrozzone di intrattenimento citazionista che viene prodotto oggi, dal cinema alla televisione. Una riflessione a cuore aperto sull'importanza della cultura, che sia pop o meno, come parte fondamentale della formazione personale di ogni individuo, e sul ruolo del creatore-demiurgo, capace di sopravvivere alla sua stessa morte attraverso la scia di creazioni che semina in vita.
È uno Spielberg che arriva terribilmente fuori tempo massimo nel riproporre un film del genere in un periodo (5 anni) arrivato alla fine ipersaturo dall'estetica neon a colori fluo, dal cinema alla televisione, dalla moda a financo alla musica degli anni '80. Ironico, per uno che ha fatto la storia di quel decennio. Più che una riflessione mi sembra mero revival, quindi citazionismo delle forme di un'epoca passata. Ma attenzione, questo non è riportare in auge nella contemporaneità tecniche e concetti avvalendosi della storia, come per l'arte classica per esempio, qui stiamo nel postmoderno. Un'epoca che pretende di dimenticare e modificare il passato, prendendone solo gli orpelli, per fingere innovazione. Nemmeno quello del genio che vive oltre la morte è una novità, mi basta guardare al passato, personaggi che hanno influenzato letteralmente le vite dei posteri per secoli, millenni dalla loro morte, altro che Steve Jobs.
CITAZIONE (MAN of STEEL @ 6/4/2018, 02:58)
È probabile che della giostra di protagonisti in carne e ossa qualcuno sembri poco approfondito o addirittura bidimensionale, ma non bisogna dimenticarsi delle loro controparti digitali nel mondo di Oasis, che ovviamente hanno la fetta più grossa di screentime.
Certo, però le parti più importanti, quelle che provvedono all'intreccio, sono quelle nella realtà, e se i personaggi si rivelano inconsistenti così come i dialoghi questo rende il recitato in Oasis via via intollerabile perché non poggia su basi adeguate.
CITAZIONE (MAN of STEEL @ 6/4/2018, 02:58)
Commovente Mark Rylance, ancora una volta custode e volto del personaggio spielberghiano per antonomasia. Come sempre doppiato a culo di scimmia, purtroppo.
Su questo sono d'accordo, spielberghiana in particolare la scena ambientata nella sua casa dove interagisce col protagonista quando completa la quest. Mi chiedo perché non gli abbiano assegnato l'ottimo doppiatore di Dunkirk.
CITAZIONE (MAN of STEEL @ 6/4/2018, 02:58)
E niente, Spielberg aggiunge un altro tassello fondamentale alla sua filmografia che nel tempo potrebbe lasciare un segno più grande di quanto oggi non ci rendiamo conto. Mutatis mutandis, è il Jurassic Park di questo decennio, almeno nel disegno della sua opera. Fa spavento non solo l'incredibile eclettismo che gli ha permesso di concepire questo film e The Post a così breve distanza, ma anche la straordinaria inventiva che dimostra a 70 anni nelle scene d'azione, come se si fosse sentito minacciato dal Fury Road di George Miller. I meravigliosi omaggi a Kubrick e Zemeckis faranno piacere agli appassionati.
D'accordo anche qui (meno che sugli omaggi), ma d'altronde mi pare di non averlo mai messo in discussione, Spielberg a 71 anni rimane uno dei più grandi del cinema d'intrattenimento, nonostante gli si possano attribuire alcuni scivoloni del tutto connaturati all'ampiezza e alla varietà della sua filmografia.
CITAZIONE (MAN of STEEL @ 6/4/2018, 02:58)
La critica americana ormai non capisce un c***o, me ne sto convincendo sempre più spesso ormai. Non capiscono cosa guardano, non sanno leggerlo, si fermano alla superficie come bambini che giudicano un libro dalle figure dandogli una rapida sfogliata. È per questo che un ordinario monster movie come A Quiet Place viene scambiato per cinema d’autore mentre Spielberg viene confuso per l’ennesimo carrozzone in CGI che cavalca la moda degli anni ‘80. Non hanno il minimo senso del gusto e non dispongono delle più basilari capacità di lettura di un’opera cinematografica, perciò non fare lo stesso errore nel giudicarlo con leggerezza.
La cultura che Spielberg omaggia più largamente deriva dal cinema e Oasis non è altro che una sublimazione della mente spielberghiana, un luogo dove è possibile riaffacciarsi ai miti del passato, agli archetipi della narrativa coming of age e alla memoria culturale collettiva. Non è certo solo un calderone di cultura pop che si regge in piedi sulle citazioni, che solo in piccola parte derivano dagli anni ‘80, quindi tutte le accuse di retromania eighties che vengono fatte al film crollano facilmente, così come quelle di moralismo spicciolo. Non siamo più nell’era di The Matrix ma in quella di Avatar: il rapporto tra reale e virtuale è simbiotico e non più problematico, la tecnologia non è oppressione e schiavitù ma una via di fuga da una realtà desolante e poco interessante. Fa spavento quanto si faccia fatica a capire veramente questo film, stando a quanto leggo in giro.
No, non la vedo così, penso che tu stia sopravvalutando oltremodo il film. L'accusa di retromania non crolla per niente, a parte che non è un'accusa, non è un demerito, è un riconoscimento, un dato di fatto, perché negarlo? È oggettivo che il film si basa su quell'immaginario. Per non parlare poi della pericolosità o meno della tecnologia. Come può non essere problematica una tecnologia che induce la gente a vivere letteralmente in un surrogato della realtà, dove i poveracci ci campano e se contrattano debiti finiscono davvero in una cella, costretti a passare giorni a lavorare da schiavi nel gioco per ripagare le multinazionali, e dove queste ultime possono far saltare in aria uno slum senza che a nessuno importi nulla. Mentre per i colletti bianchi Oasis è tutt'al più un passatempo in ufficio, dove i più frustrati dal Game Over si suicidano. Mi sembra un incubo tecnofilo o un'utopia liberista. Il problema è che tutto questo è coperto da una coltre di immaturità, infantilismo, boh... chiamiamolo buonismo che disinnesca lo scenario distopico. Quello di Oasis come via di fuga è il più evidente strato di lettura che lo spettatore si trova davanti, riconosciuto questo poi si passa oltre ad esaminarne i pericoli che derivano da quella situazione, queste cose però sono rimaste appena accennate o impresse in una qualche breve sequenza rimanendo un potenziale inespresso. Questo perché il regista, che è oggettivamente, antropologicamente, somaticamente, un grandissimo paraculo, per rendere vendibile il film doveva metterci quella morale zuccherosa fintamente intelligente.
Edited by Henry V - 6/4/2018, 16:39