Votes given by $lask

view post Posted: 20/4/2019, 23:49 by: DottorBrand     +1Prossimi Progetti - Progetti nuovi e paralleli
CITAZIONE (Lo Stefano @ 30/1/2019, 22:21) 
Si tratterebbe di un "Film Evento" e secondo il mio modesto ed insensato parere, il film in questione sarà.... "Burning Secret" per chi non ricordasse è uno script perduto di Stanley Kubrik che venne ritrovato lo scorso luglio (Qui un link alla notizia)

Nolan è in buonissimi rapporti con la famiglia Kubrik, quindi sarebbe realistico che questi gli abbiano consentito di realizzarne un film, e inoltre altrimenti non mi spiegherei come mai vogliano farlo passare come "film evento"

No, lo escludo categoricamente !
"La famiglia Kubrick" come la chiami tu - dicasi anche Jan Harlan e la vedova Christiane -hanno già vissuto cosa si prova a "demandare"/passare di testimone il lavoro maniacale e accurato di Stanley sotto gli occhi di un altro autore: bravo o esperto, appassionato il malcapitato non potrà girare una creatura partorita da Kubrick come la voleva lui, ergo si finirebbe solo per deturparla per sempre senza farle mai vedere la luce. Tanto vale farla rimanere su carta sottoforma di soggetto o storyboard o appunti

;) Ne so qualcosina sull"argomento se ben ricordate l'argomento della mia tesi
view post Posted: 21/3/2019, 14:26 by: DickGrayson     +1Discussione generale - TENET
Quando c'è qualcosa che ha a che fare col nome del grande Chris Nolan, hype sempre a manetta !!!! Speriamo in altre news
view post Posted: 10/3/2019, 13:37 by: DottorBrand     +1Discussione generale - TENET
<non vedo partire conti alla rovescia sul forum
:P :P
Scherzo, sarebbe troppo anche per noi!
Si spera presto in qualche informazione
view post Posted: 3/2/2019, 17:14 by: Eru     +1Che film hai visto? - La Cineteca
Visto Il primo re di Matteo Rovere

Fin dai primi minuti capiamo che Il primo re di Matteo Rovere non è un film italiano come tutti gli altri. L'esondazione del Tevere trascina i due protagonisti, Romolo e Remo, e anche noi subito nella storia.

Alessandro Borghi e Alessio Lapice danno il volto rispettivamente a Remo e Romolo, due fratelli che da semplici pastori diventeranno guerrieri. Dovranno combattere contro i soldati di Albalonga per acquistare la loro libertà, ma il vero conflitto avverrà tra i due fratelli.

Rovere sceglie di raccontare il mito della nascita di Roma con crudo realismo. Infatti, i dialoghi sono in proto-latino. Per accentuare ancora questo realismo la stupenda fotografia di Daniele Cipri usa luci naturali. Quella che vediamo è una fotografia sporca, come i protagonisti per tutto il film.

La fondazione di Roma è nata sul sangue. Non mancano scene di combattimento dove il regista non si risparmia al gore. Per via delle atmosfere mi è sembrato di vedere un episodio di Vikings. Chiaramente il regista si è visto anche 300 di Zack Snyder perchè ad un certo punto nel film viene detto con enfasi "Questa è Roma!"

Borghi è riuscito interpretare un uomo che si proclama re e che farebbe di tutto per il fratello. Proprio per proteggere il fratello che ama è disposto a sfidare il volere degli dei. Rovere da a Remo proprio una connotazione shakespiriana: un re dubbioso in conflitto con il fratello.

Il primo re è un chiaro segno di un cinema italiano che non è solo commedie, ma può fare ben altro. In italia il cinema di genere si può fare, come aveva già dimostrato Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti. Per citare Stanis, Rovere ci dimostra che si può fare un un film italiano che non sia tipicamente italiano.
view post Posted: 2/2/2019, 10:06 by: Eru     +1Cultura e Mondanità - Tutto il resto
Grandi cose fanno dalle mie parti. Al Nuovo CInema Aquila, che si trova a quattro passi da me, dopo la proiezione del film Primo Re c'è l'incontro con il regista, il direttore della fotografia e gli attori. ^_^ https://www.cinemaaquila.it/evento/matteo-...ta-il-primo-re/
view post Posted: 17/12/2018, 12:31 by: ironmaiden     +1Ciao! ^_^ - Welcome
ciao a tutti! ma che bello scoprire che c'è un forum dedicato a questo mitico regista! ho visto quasi tutti i suoi film, spero di trovarmi bene qui e di poterne parlare con appassionati esperti che abbiano qualcosa da condividere e insegnare! ^_^

p.s. mi chiamo francesco, sono di palermo e ho 35 anni. :P

adoro Interstellar! :wub:
view post Posted: 24/6/2018, 17:36 by: clarenceseedorf86     +1Che film hai visto? - La Cineteca
Film visti negli ultimi 10 giorni:

Quel maledetto treno blindato (Enzo G. Castellari)
Kill the Irishman (Jonathan Hensleigh)
S.W.A.T. (Clark Johnson)
The Juror (Brian Gibson)


Edited by MAN of STEEL - 24/6/2018, 20:47
view post Posted: 20/6/2018, 13:24 by: Pessimismo Cosmico     +1Che film hai visto? - La Cineteca
Ore Disperate di William Wyler (1955).

William Wyler è stato uno dei registi più geniali che abbiano lavorato ad Hollywood; vincitore di 3 oscar alla miglior regia e avente una carriera di oltre 40 anni a livelli elevati. Regista capace di notevole eclettismo, capace di passare con disinvoltura dal noir al melodramma sino all'epico, tutti con bei risultati. I suoi film più famosi sono Vacanze Romane (1953) e Ben-Hur (1959), ma come nella maggior parte dei casi, non sono i film migliori del regista che amava esaltarsi quando si ritrovava a girare film drammatici e pellicole ambientate in luoghi chiusi o con location limitate; Ore Disperate (1955) appartiene al secondo filone.

Dopo il grosso successo di pubblico e critica di Vacanze Romane (ma freddamente accolto dai critici europei), Wyler sceglie di ripiegare su un piccolo thriller-poliziesco da camera vista l'ambientazione al 90 % in un unico luogo, una casa a due piani appartartenente ad una famiglia borghese per bene composya da 4 componenti che si ritrova a dover fronteggiare 3 criminali appena evasi capitanati da Glenn Griffin (Humprey Bogart) che li tengono in ostaggio.
Wyler più che sulla famiglia, decide di concentrarsi sui criminali e sul dualismo-antagonismo tra Griffin e il padre di famiglia Dan Hilliard (Fredrich March).

Wyler più che sulla famiglia borghese, mira a conferire dignità umana ai criminali, vittime di un sistema benpensante che li vede come pura e semplice feccia che deve essere tenuta fuori dalla società civile e dai posti rispettabili (vedasi il rottame della bicicletta lasciato fuori casa e che nessuno si prende la briga di portarlo dentro). Più che sull'azione, Wyler si concentra sulle psicologie tra i personaggi e l'atmosfera divperenne oppressione che si instaura tra le mura della casa, per via della convivenza forzata. Il terrore si insinua nei personaggi

La regia di Wyler è una delle più sobrie ed efficaci, capace di azzeccare sempre il posizionamento della macchina da presa e conferire il giusto ritmo al film con il montaggio. Il regista da sempre abile ad evitare da teatralità nei suoi film, riesce sempre a trovare espedienti interessanti come l'uso dei soffitti e l'utilizzo della profondità di campo per dare maggior senso cinematografico alla messa in scena. La scena più riuscita di tali abilità tecniche, può riscontrarsi nella telefonata della figlia maggiore al fidanzato e la mdp dal basso inquadra mettendo a fuoco i personaggi in primo piano e quelli in lontananza situati al secondo piano.

Pezzo forte di Wyler è l'accorta direzione degli attori; Bogart già con evidenti sintomi del cancro che lo avrebbe ucciso di lì a poco, risulta credibile come criminale e la malattia dell'attore non fa' altro che rendere tangibile le privazioni che tale uomo ha subito nel duro regime carcerario. Bogart dà vita ad un crimimale carismatico, psicologicamente un passo avanti a tutti e dalla grande intelligenza, non scedendo in facili stereotipi interpretativi, in sostanza dà vita ad una delle sue migliori interpretazioni; mentre March conferma la sua fama di grandissimo attore sottovalutato e sbozza un eccellente interpretazione di un padre che deve combattere su due fronti, contro i criminali e poi nel tenere a bada l'irruenza dei suoi familiari.
Ore Disperate al giorno d'oggi è un film ancora efficace, magari con un po' di polvere accumulata sopra e un finale un po' consolatorio (ma siamo a metà anni 50'), ma alla fine ottimo. C'è di sicuro più Wyler qui che in Ben-Hur e Vacanze Romane messi insieme. Pellicola rifatta nel 1990 mediocremente da Cimino, con Rourke e Hopkins come protagonisti e assolutamente ridicoli in confronto a Bogart e March.



I 400 Colpi di Francois Truffault (1959).

Primo film di Francois Truffault, che fatto proprie le esperienze di critico sui Cahiers du Cinemà e la visione del cinema propria di Andrè Bazin (morto il giorno prima delle riprese e a lui il film è dedicato); crea con i Quattrocento Colpi nel 1959 un vero e proprio manifesto del cinema che darà vita alla Nouvelle Vague, corrente cinematografica che avrà vita per 5-6 anni per poi estinguersi; ma lascerà un patrimonio inestimabile per le future generazioni di cineasti.
Con quest'opera siamo innanzi ad una pellicola speculare che inizia con una carrellata degli esterni di Parigi e uno sguardo alla Torre Eiffeil da un punto di vista differente dai soliti, stagliandosi tra alberi malmessi e edifici malmessi (Vedere per esempio Cenerentola a Parigi di Donen di appena due anni prima; che dava dell'edificio simbolo di Parigi una rappresentazione classica e stereotipata); per poi concludere il tutto con due carrellate che mostrano la fuga del protagonsita Antoine Doinel (Jean Pierre Leaud) verso il mare.

Tolte quindi la carrellata iniziale e quella finale che sono i momenti con maggior dinamismo del film, la pellicola si concentra per lo più negli spazi chiusi di tre edifici che hanno anche una funzione simbolica; l'aula di una scuola (l'istruzione), la casa di Antoine (la famiglia) e la caserma della polizia e riformatorio (l'autorità). La figura del protagonista Antoine è modellata sicuramente su quella del regista (che a quanto sembra non andava molto bene a scuola da piccolo e comunque, non ha mai conseguito un grado di istruzione elevato), visto il suo carattere ribelle ed insofferente a qualsiasi attività. La scuola per lui è un'inutile perdita di tempo, perchè come dichiara, non riesce ad imparare mai un bel nulla e quando ad un certo punto, dietro l'incentivo di 1000 franchi se fosse riuscito a fare un tema di francese con un bel voto, si impegna anima e corpo nello studio (riportando una citazione da Balzàc), il professore (con cui c'è una forte faida) lo ripaga con uno zero accusandolo di plagio; in sostanza Antoine è un bambino perennemente oppresso anche se tenta di conformarsi al sistema.

D'altronde l'ambiente familiare non è dei migliori; chiuso in una casa piccola quanto soffocante per i continui litigi dei suoi genitori, ai quali tenta di sfuggire chiudendosi nell'oscurità della sua minuscola cameretta, Antoine è vittima tanto di una madre assente che tradisce il marito (e da qui il ragazzino si inventerà una bella giustifica a scuola dicendo che è morta la madre), quanto di un padre che è un buono a nulla nel lavoro e che probabilmente, non ha mai amato troppo il bambino avuto in precedenza dalla moglie.

Antoine ha dei problemi e il suo comportamento ovviamente non è sempre da giustificarsi, ma la combinazione letale di un professore miope e di una madre e un padre assenti quanto incapaci di dargli un'educazione, portano il ragazzino ad alienarsi dal contesto dei rapporti con gli adulti (visti tutti alla fine come dei retrogradi reazionari e anche incapaci) per sfogarsi con la lettura e in scoribande con il suo amico Renè, con cui spesso marina la scuola. I Quattrocento Colpi mostra in modo sconcertante il fallimento di tutte le istituzioni che alla fine non riescono ad educare le nuove generazioni e risultano prigioniere di un pensiero idiota basato sulla ferrea disciplina e sul ricordo dei bei tempi andati (che poi erano veramente belli?).

L'impietosità del fallimento delle autorità, è ritratto impietosamente da una macchina da presa che non nasconde nulla di Parigi e che filma la realtà in esterna per quello che è, senza interventi di ri-costruzione o altro, atti ad alterare il paesaggio urbano. Muri sporchi, edifici vecchi e strade colme di sporcizia fanno da sfondo alla parabola umana del piccolo Antoine che si ritroverà a crescere in fretta e passare all'età adulta (impietoso il racconto che il ragazzino con sconcertante schiettezza fà delle sue esperienze in strada alla psicologa del riformatorio). Apprezzabile l'abilità del regista di essere riuscito a fare un ritratto si duro delle istituzioni, ma senza scadere in stupidi manicheismi o calcare la mano negli isterismi degli adulti, grazie anche ad una certa comicità caustica in talune situazioni (come la giustifica della morte della madre, che unisce umorismo con la spietatezza della totale sfiducia del ragazzo verso la donna).

Vincitore del premio miglior regia a Cannes, e nominato come miglior sceneggiatura agli oscar; I Quattrocento Colpi ha superato in modo egregio la prova del tempo ed è perfettamente fruibile anche nel nuovo millennio. Consigliato anche ai ragazzi per via del contenuto che può riguardarli da vicino nella loro vita reale. Non hanno nulla da temere dall'eventuale osticità dell'opera, visto che il film è molto più narrativo e facilmente fruibile rispetto a Fino all'Ultimo Respiro di Godard (1960), che risulta invece un film molto più radicale nello sperimentalismo del linguaggio del cinema e della narrazione.



Scaramouche di George Sidney (1952).


Qualche centimetro di polvere si è depositato sicuramente su Scaramouche (1952), specie perché diretto da George Sidney, regista di film musicali e in costume per lo più, ma di certo non un risulta essere uno dei big della sua epoca e né tra i registi di "seconda" o "terza" fascia più importanti e quindi incapace di dare quei tocchi in più necessari per tirare fuori un grande film, capace di sopravvivere intatto o quasi allo scorrere del tempo e non solo un semplice "cult", che per quanto delizioso, risulta legato al suo tempo.

Il film miscela insieme; melodramma, duelli all'ultimo sangue, tinte forti, commedia alta e bassa, forti passioni, un po' di politica e tanta azione, in sostanza riesce ad accontentare un po' tutti ed è questa la formula del suo successo. Il pubblico femminile si interesserà al tira e molla del nostro André Moreau (Stewart Granger) conteso da Leonore (Eleanor Parker da slurp) e Aline (Jenet Leigh meno da slurp), il pubblico maschile più incline all'intrattenimento sarà intetessato al lato action derivato dalla vendetta di Moreau contro il Marchese Noel (Mel Ferrer), l'appassionato di cinema godrà delle prodezze tecniche adoperate dal regista nei duelli ed infine, i più intellettuali potranno cimentarsi nei discorsi politici (il film è ambientato all'alba della rivoluzione francese del 1789) e nelle riflessioni sulla maschera e della commedia dell'arte, senza vergognarsi di aver visto per un giorno un film di intrattenimento Hollywood e non il solito cinema con i sottotitoli tubetani in bianco e nero. Scaramouche cela la sua identità dietro una maschera di giorno recitando la parte del buffone, mentre la notte si allena di spada per compiere la sua vendetta... volendo fa' molto personaggio da cinecomics (quello fatto bene però), ma senza lo sviluppo schematico di esso (il nostro protagonista subito si scontra con Noel, non avanza di grado con scontri contro personaggi più deboli).

Messa in scena impeccabile nei costumi e nella fotografia in technicolor molto efficace nei suoi colori pittorici a tinte forti. Più che sul protagonista (molto libertino nei suoi rapporti con le donne e anche un po' caciarone, poco interessato alla politica e tanto alla vendetta), il personaggio interessante è il Marchese Noel; ultimo ma coriaceo esponente di una classe aristocratica che verrà spazzata via di lì a poco dalla borghesia. Mel Ferrer non è per niente un grande attore, ma in questo film probabilmente è alla sua migliore interpretazione; il regista gli conferisce un'aura di magnetica potenza, che ne fa' un villain riuscito, poiché agli occhi dello spettatore risulta imbattibile come spadaccino.
Ferrer conferisce al personaggio, grazie al suo viso aristocratico dai tratti corvini, la necessaria freddezza senza che diventi macchietta, tratteggiando un marchese dal senso dell'onore distorto.

Il pezzo forte di Scaramouche è rappresentato dai duelli e dalle coreografie complesse alla base di essi. I due protagonisti sono entrambi già abili di loro con la spada e duellano tra loro come se stessero danzando. Il regista sfrutta appieno il terreno di scontro del teatro per creare il duello più lungo della storia del cinema (circa 7 minuti), dove vi sono angoli di ripresa di tutti i tipi, carrelli, gru e panoramiche che conferiscono ampio dinamismo all'azione grazie a due attori che non si sono risparmiati (Stewart Granger rimedio' uno strappo ad una gamba nella scena del salto sul divano) e rendono tangibile il rumore delle spade e la fatica del duello. È uno scontro tra animosita'passionale (Moreau) e freddezzza calcolatrice di chi sa' (o meglio si ritiene) di essere imbattibile (Noel). Ci troviamo innanzi ad un'azione ben lontana dalla patinatura levigata del cinema digitale odierno, che uccide qualsiasi epica nell'azione e nei combattimenti, a favore di una plasticosa artificialita'.
Scaramouche non è perfetto; qua e là presenta i segni del tempo e la sceneggiatura ha dei buchi di scrittura e risoluzioni non soddisfacenti del tutto, legati in primis alle troppe rivelazioni sulle origini di André Moreau e alla linea narrativa del marchese Noel lasciata aperta; ma comunque é un buon film e tra i migliori cappa e spada di sempre, nonché imprescindibile tappa per chi fosse interessato alla storia del cinema d'azione.




La Folla di King Vidor (1928).

Della serie di documentari dedicati alla storia del cinema; Story of Film di Counsins, ho visto per ora solo i primi 2 dischi e in uno di essi, l'autore parlava di King Vidor e del cinema degli anni 20', mettendo in primo piano nella sua trattazione il suo film La Folla (1928); mi sembrava interessante solo che non l'ho mai recuperato sino a poco tempo fà e non ha deluso per nulla le aspettative che si portava. King Vidor và in netto contrasto con tutta la concezione americana del cinema dell'epoca (ma anche odierna), dove Hollywood è l'emblema della fabbrica dei sogni e delle belle speranze. Sin dagli albori al pubblico sono piaciute le storie d'amore, alle quali ci si è appassionato fortemente e Vidor gliene porge una su un piatto d'argento, solo che al narrare di essa compie un gesto molto anti-Hollywoodiano; cioè distrugge e fà a pezzi per la prima volta l'ipocrisia del Sogno americano, di cui la propaganda cinematografica s'è fatta portatrice sin dagli albori. Vidor oltre alla regia, ne cura anche la sceneggiatura così da poter imprimere al meglio il suo forte pessimismo cosmico sulla società di massa odierna (se oggi è raro che ad Hollywood un regista scriva la sceneggiatura del suo film, all'epoca era un qualcosa di fuori dalla realtà presumo).

La Folla più che un film è un vero e proprio trattato sociologico, dove abbiamo per protagonsita John Sims (James Murray), nato il 4 Luglio del 1900 (anniversario dell'indipendenza americana), il cui padre pensava fosse destinato a realizzare grandi cose e ad emergere dal caotico flusso della "folla". Di anni ne sono passati oltre venti e il nostro John ha trovato anche una bella e premurosa moglie di nome Mary (Eleanor Boardman); ma i suoi sogni di ragazzino di diventare qualcuno sono morti da un pezzo e svolge mestamente il suo lavoro di impiegato, tirando a campare tra tante difficoltà.
In sostanza è la storia di un uomo "mediocre" come tanti (tipo il 99% della popolazione mondiale), che aspirava a tanto e credeva di poter governare New York, quando invece la metropoli potrebbe fare benissimo a meno della sua presenza poichè La Folla è un collettivo che non necessita di identificarsi in un individuo, il quale deve seguire mestamente il flusso senza avere alcuna possibilità di poter tentare un'astrazione da essa, poichè tale gesto sarebbe una follia. In questo gioco della vita c'è chi tra varie circostanze riesce ad andare avanti e chi invece resta fermo al palo sgobbando come un mulo per tutta la vita per uno stipendio misero.
La Folla è una mostruosità vitale che si muove a flusso continuo senza sosta, perpetuamente felice e perennemente sorda alla tragedia individuale dei singoli uomini che vivono anche drammi forti, ma il massimo che possono ottenere è un'attenzione momentanea di un giorno, poi però il flusso deve continuare, perchè la Folla non può fermarsi per una sola persona.

L'unica possibilità di poter trovare uno spazio individuale, è il rapporto con i propri congiunti in casa propria, ma la società di massa industriale minaccia il nucleo familiare in modo perenne (il treno fuori la casa che passa in continuazione) e gli stessi parenti altro non sono che vipere arriviste che pensano solo al lavoro e all'aumento di stipendio. John è fortemente stressato da tutto questo, sentendosi un fallito perchè svolge un lavoro che non lo gratifica, è parte di una società sorda al suo dolore (che male la scena al lavoro quando lui che pensa alla figlia che non c'è più) e ha dei parenti che lo considerano un buono a nulla. Il matrimonio che sembrava non poter mai avere fine come lo scorrere delle cascate innanzi alle quali teneramente si baciano John e Mary, diventa sempre più una gabbia e la frustrazione tra i due coniugi aumenta sempre più, rinfacciandosi difetti l'un con l'altro; ma l'unica possibilità per poter sopravvivere in una Folla che andrebbe comunque avanti senza di noi, è quella di avere un conforto con un altro essere umano; potente e struggente sono in proposito i numerosi primi piani dedicati ad un'imbarazzata Mary che dichiara di essere incinta, la cui notizia riempe di felicità John, portando così alla riappacificazione tra i due coniugi.

Vidor ha il coraggio per la prima volta di narrare l'altra faccia del sogno americano, quella più dura, realista e disumana; inoltre ha anche la sfacciataggine di raccontare il secondo tempo della relazione tra uomo e donna, cioè quello che viene dopo il vissero felici e contenti, quando di solito i film romantici si fermano con la loro narrazione. In effetti conto una decina scarsa di film che in oltre 100 anni di storia del cinema, si focalizzano sul matrimonio e sulla vita coniugale e Vidor, con un'anticipo sui tempi di oltre 30 anni sulle varie avanguardie anni 60', ci mostra questo lato così poco esplorato anche da film recenti. Riassumendo in un'unica parola, King Vidor nell'industria dei sogni, porta la quotidianetà del realismo moderno, avvalendosi anche di tecniche registiche all'avanguardia che cosnentono al film di essere perfettamente fruibile non solo nel messaggio, ma anche nel linguaggio cinematografico ad oltre 90 anni dalla sua uscita. Macchine da presa nascoste immortalano il flusso della Folla quotidiana, che avvolge le grandi metropoli con un realismo spontaneo e schietto, teleobiettivi posizionati in alto e che mano a mano si avvicinano al singolo individuo seduto alla scrivania, ci fanno percepire lo sguardo del regista, così come tecnicismi arditi come la mdp sullo scivolo che filma i personaggi divertirsi sull'attrazione, sino ad intensi primi piani umani e simbolismi interessanti come le rapide del fiume che sfociano in una cascata per simboleggiare un rapporto sessuale tra i due coniugi immersi nella natura lontano dalla caotica metropoli.

La Folla nonostante sia un film muto e possa essere visto come un film appartenente ad un'epoca remota, è una pellicola assolutamente moderna e degna di essere considerata un capolavoro totale (l'infleuenza è molto forte sui film successivi, praticamente Wilder con L' Appartamento deve qualcosa a questo film). Non fu un grande successo (in effetti uscì in piena crisi economica) nonostante un finale più mitigato ed aperto (altra novità per l'epoca) voluto dalla produzione; ebbe solo due nomination all'oscar e venne sconfitto per miglior film da Aurora di Murnau, mentre la regia non datagli fu un furto clamoroso visto che Murnau non c'era nella categoria. Abbastanza inspiegabile a mio avviso la mancata nomination per i due attori protagonisti nelle loro categorie, specie per la Boardman che offre una delle perfomance più intense che si siano viste nella storia del cinema.
view post Posted: 23/5/2018, 22:31 by: DickGrayson     +1Westworld - Jonathan Nolan
Qualcuno ha iniziato a vedere la seconda stagione? Io sono arrivato alla 2x04 e devo dire che é fino ad ora intrigantissima questa season 2
view post Posted: 9/4/2018, 00:28 by: Pessimismo Cosmico     +1Che film hai visto? - La Cineteca
Uno, Due, Tre! di Billy Wilder (1961).

Billy Wilder ha sempre dichiarato come sua unica fonte d'ispirazione Ernst Lubitsch. Già vedendo Aranna (1957) ce ne eravamo accorti, ma con Uno. due, tre! l'omaggio al maestro è esplicito e Ninotchka è sicuramente uno dei riferimenti del film. Ad inizio degli anni 60, Wilder è oramai uno dei più grandi registi della storia del cinema e veniva da successi di pubblico enormi come A Qualcuno Piace Caldo (1959) e nel 1960, realizzò la più grande commedia americana di sempre, quel capolavoro totale dell'Appartamento, forte satira amara sull'arrivismo americano e lo sfruttamenti dei rapportu umani ed interpersonali. Il successo dell'Appartamento gli fruttò un'oscar miglior film e regia riuscendo a sconfiggere colossi come Psycho di Hitchcock. A quel punto della carriera, un regista come Wilder poteva ritirarsi definitivamente ed invece, decide di mettersiancora in gioco con una pellicola che ironizzasse in piena guerra fredda sulla tensioen tra blocco occidentale e blocco orientale.

Wilder deve essersi fortemente divertito nel girare questo film, che ha dalla sua una quantità esilarante di gag e scambi di battute arguti e sagaci sulla situazione di tensione tra i due blocchi che si contendevano il mondo all'epoca. Il film dura un'ora e quaranta che grazie al folle ritmo impresso da Billy Wilder, sembra che ne duri appena la metà del tempo. Questo permette allo spettatore di godersi un'opera secca, asciutta e che viaggia spedita verso la risoluzione di tutta questa ingarbugliata vicenda. McNamara è il classico opportunista viscido americano ben poco interessato alla felicità dei due giovani ed è costretto a prodigarsi per loro solo per non pagare eventuali conseguenze negative con il padre di Pamela, poichè questo significherebbe addio promozione. Otto invece è un giovane comunista di bei principi, ma totalmente rincoglionito dalla dottrina socialista e avvulso dalle effettive condizioni del settore orientale di Berlino e dalla mancanza di molti diritti civili elementari.
Gli scambi tra questi due personaggi dalle opposte visioni dell'economia e della vita, sono vivaci e molto divertenti per uno spettatore abbastanza dotto di quel periodo storico (basta che sappiate anche qualcosa di base sulle basi del sistema economico comunista e capitalista e alcune cose di attualità all'epoca come la crisi dei missili cubani per godervi appieno il film) ed i siparietti continui dei dipendenti tedeschi sempre lugi al dovere, nascondono una tremenda verità sulla reale situazione della Germania occidentale, cioè; molti nazisti tedeschi si sono riciclati nella società civile e nell'amministrazione americana dopo la seconda guerra mondiale e quindi la de-nazificazione è stata solo di facciata.

Come ho già detto, questo ritmo sparato a 100 all'ora ha un unico ma importante difetto... fà venir meno ogni costruzione dei ritratti umani per cui Wilder è giustamente tanto lodato. McNamara, Otto, Pamela, la moglie, i segretari etc... sono solo figure catalizzatrici portatrici della propria prospettiva e destinate a non evolversi dalla propria visione. Questo consente di creare figure subito riconsocibili dallo spettatore, ma a lungo andare figure come Otto e Pamela risultano a lungo andare monotoni e ripetitivi, poichè suonano un'unica sinfonia per tutto il tempo.
Interessante notare che ad eccezione di Cagney, gran parte del cast non annovera attori famosi e molti di essi sono anche locali. Non ci ritroviamo innanzi ad un capolavoro, ma ad un ottimo film intriso di cinismo Wilderiano, peccato che siccome era un genio assoluto del cinema, solo la storia poteva fermare tale autore ed infatti durante le riprese, venne eretto da un giorno all'altro il muro di Berlino. Questa cosa portò il pubblico a rifiutare in toto un film che ironizzava sulla situazione tra i due blocchi, quando in quel momento la realtà stava velocemente precipitando e anche la critica ci andò pesante nel massacrare il film. Sfortuna a parte, Uno, due, tre! al giorno d'oggi merita assolutamente di essere riscoperto perchè è tutt'altro un film che possiamo permetterci di dimenticare e risulta una delle commedie più intelligenti ad argomento satirico-politico.


Non per Soldi... Ma per Denaro di Billy Wilder (1966).

Tutti dicevano che dopo l'Appartamento, Billy Wilder entra in una spirale di decadenza e crisi artistica. Forse sono troppo fan di questo regista (e sticavoli, è Wilder, mica il primo scemo), ma dopo la visione di Non per soldi... ma per denaro, ho completato i film di Wilder degli anni 60' (con un bilancio di due capolavori e tre ottimi film) e posso dire con certezza che vorrei avere io una crisi così; quindi rimandiamo eventuali de profundis alle pellicole di Wilder degli anni 70', che purtroppo non ho ancora visionato.
Non so cosa passasse in quel periodo Billy Wilder, ma sicuramente doveva essere molto negativo d'umore verso il genere umano visto che insieme a Baciami Stupido e l'Appartamento, è la pellicola più cinica e nera del regista.

Henry Hinkle (Jack Lemmon) è un giovane operatore della CBS che sta riprendendo una partita di football americano e per sua sfortuna in un'azione di gioco, viene travolto da un giocatore del Cleveland, Luther Jackson, con il risultato di prendersi una brutta botta ed essere trasportato d'urgenza in ospedale. William Gingrich (Walter Matthau), cognato di Henry e avvocato furbo e scaltro che campa truffando le assicurazioni, decide di ingigantire l'incidente inventandosi una paralisi ad una gamba e a tre dita di una mano chiedendo come danni un milione di dollari. Henry non vorrebbe partecipare a tale truffa e rifiuta segnosamente, finchè Gingrich non gli prospetta di poter riconquistare grazie a questa malattia simulata, la sua ex-moglie Sandy che lo aveva mollato per andarsene con un altro uomo.
Come potete intuire, è una commedia nera basata su un argomento interessante e senz'altro di attualità come le truffe assicurative; almeno dalle mie parti è un classico fare apposta degli incidenti d'auto gonfiando i danni per poter ottenere soldi dalle assicurazioni (che a me stanno poco simpatiche. Ah! a scanso di equivoci... io possiedo a stento una bicicletta, sennò qua dentro qualche assicuratore mi fà a pezzi).
Wilder mette alla berlina i rapporti interpersonali tra i parenti basati sul mero interesse economico e non sugli affetti. La critica del regista si muove in special modo verso la figura del viscido avvocato senza scrupoli che campa truffando le assicurazioni, le quali pur di non cacciare soldi sono pronte ad inventarsi ogni cavillo legale e ogni tipo di possibilità pur di non pagare. Anche l'ex-moglie Sandy ne esce fatta a pezzi dalla vicenda, visto che alla fine mira a parte dell'indennizo per soddifare le sue ambizioni lavorative personali. Con questi personaggi, la redenzione umana è molto più amara e tocca solamente i personaggi di Henry Hinkle e Luther Jackson, il quale accudisce e assiste quasi giornalmente il primo perchè incapace di darsi pace dell'incidente avvenuto per colpa sua. Per Wilder i perdenti di questo mondo, sono le persone semplici e che tentano di vivere in modo onesto; non fatevi ingannare dal finale che è tutt'altro che lieto visto che è solo un illusione che un bianco e nero puri d'animo, potranno uscire indenni questo mondo che appartiene ai milioni di Gingrich e Sandy.

Azzardando un'analisi ulteriore e visto anche l'anno d'uscita (il 1966), possiamo dire che la pellicola rappresenta uno scontro tra la vecchia Hollywood classica morente e destinata a vivere di finali illusori a lieta conclusione e la nuova Hollywood con individui abietti destinati a non pagare per le proprie azioni egative (l'avvocato la farà franca... questo sino a pochi anni prima non sarebbe stato possibile per la rigidità del codice Hayes). Possiamo dire Jack Lemmon rappresenta una tipologia di personaggi di statura morale (che l'attore ha quasi sempre incarnato sul grande schermo), destinati a soccombere, innanzi ad una nuova generazione di figure ciniche, spietate se non propriamente negative che le nuove generazioni di spettatori chiedevano a gran voce, cioè personaggi come Walter Matthau.
Nonostante non sia un capolavoro poichè Wilder aveva affrontato i rapporti interpersonali in modo superiore nella ritrattistica umana nel precedente capolavoro Baciami Stupido del 1964, ci si ritrova inannzi all'ennesima grande commedia di questo regista straordinario. Inconcepibile che nonostante sia un film a passo con i tempi "cupi" in cui uscì, il pubblico rifiuterà quest'opera come in precedenza aveva rifiutato Baciami Stupido, si vede che per gli americani la commedia in linea di principio deve essere comunque positiva e non permeata da uno spirito cinico. A scapito di ciò il film ebbe 4 nomination all'oscar tra cui miglior sceneggiatura e Walther Mathau vinse meritatamente il premio oscar come miglior attore non protagonista, per il ritratto spietato e per nulla caricaturale di questo famelico avvocato senza scrupoli morali.
Ad oggi comunque resta l'ennesimo film riuscito di questo titanico autore le cui commedie; che siano fiabe romantiche pure alla Sabrina o più cattive come Arianna o pellicole anarco folli come A Qualcuno piace Caldo, Uno, due, tre ! e Irma la Dolce o permeate da una forte satira nera come L' Appartamento, Baciami Stupido o la suddetta opera, non risultano datate in nulla dopo decenni e sono perfettamente fruibili da spettatori di ogni cultura, sesso ed estrazione sociale.


Guerra e Pace di King Vidor (1956).

Finito di leggere il matton... ehm... scusate il romazo voluminoso di Lev Tolstoj; Guerra e Pace, ho visto se c'erano degli adattamenti filmici della suddetta opera. Il più risalente e sopratutto facilmente reperibile era questo Guerra e Pace del 1956 co-prodotto dai capitali italiani della ditta dei produttori Ponti - De Laurentis insieme ai capitali americani della Paramount. La curiosità era alta, anche perchè alla regia c'è King Vidor di cui non ho mai visto nulla e che dicono essere capace e nel cast c'erano attori di serie "A" come Audrey Hepburn, Henry Fonda e Vittorio Gassman, il risultato... beh... non è positivo al massimo, ma neanche negativo. Premetto che recensirò l'edizione integrale del film da 3 ore e venti; non sarà un problema recuperarla perchè nel DVD del film vi è sia la versione italiana "ridotta" che quella integrale, ovviamente la visione consigliata è quest'ultima. Inoltre ci tengo a ribadire un concetto prima di cominciare; un libro è un libro (anche se in questo caso è un capolavoro come Guerra e Pace), mentre un film è un film. L'adattamento fedele non mi interessa e nulla ha a che fare con l'eventuale riuscita o qualità del film, che per quanto mi riguarda può anche semplificare o edoculturare certe cose, ma se l'insieme funziona cinematograficamente, poco importa (sono molte le battaglie in proposito che combatto contro i nerd sui film tratti dai fumetti e purtroppo sono anni che sono sconfitto da tali fanatici).
Chi come il sottoscritto ha letto Guerra e Pace, sa benissimo che è un'impresa faraonica adattarlo in un film dalla durata comunque prestabilita. Secondo la preziosa biografia di Spoto su Audrey Hepburn, viene rivelato che Ponti e De Laurentis presero il romanzo a spacchettarono in blocchi da 200 pagine affidandolo a vari gruppi di scneggiatori. King Vidor ricevuto il lavoro si ritrovò innanzi ad una sceneggiatura per forza di cose disorganica e priva di qualunque unità stilistica e cestinò il lavoro e scrisse di proprio pugno, insieme ad un gruppo imprecisato di altri collaboratori tra cui Mario Soldati (che diresse alcune sequenze del film) e Camerini, una nuova sceneggiatura ex-novo.
Vidor decide di costruire il film su tre personaggi; Natasha (Audrey Hepburn), Pierre (Henry Fonda) e Andrej (Mel Ferrer) più o meno credibili e approfonditi; sacrificando tutte le altre vicende e varie famiglie, nonchè semplificare il sostrato filosofico e molte vicende del romanzo. Tale scelta non piacque per niente alla critica americana dell'epoca (Crowther in primis) che attaccò il film giudicandolo freddo ed artificioso. A mio parere Vidor ha fatto una scelta sensata, perchè neanche con un film da 10 ore poteva accontentare la critica fanatica che voelva un film fedele al libro, cosa assolutamente impossibile.
Il problema principale del film, sono in assoluto i primi 45 minuti, veramente terribili con vari cambi di scena ed cambi di location che si susseguono repentinamente, così come una miriade di personaggi minori e vicende che passano senza sosta e mandano in crisi anche lo spettatore più paziente. In effetti la pecca primaria del film, sono le numerosi ellissi di montaggio che trasportano lo spettatore di qua e di là (d'altronde il film si svolge in un lungo arco temporale che và dal 1805 al 1813) e che hanno il compito di mettere una pezza varie vicende che vengono lasciate fuori campo ed accennate allo spettatore tramite informazioni date dai dialoghi dei personaggi. Fortunatamente verso lo scoccare della prima ora, le ellissi e le transizioni di montaggio si attenuano molto e seppur di tanto in tanto presenti, sono gestite con molto più garbo.

La pellicola fonde l'aspetto melodrammatico (chi s'aggiudica il culo della nostra bella Natasha per farla breve) con gli aspetti più epici del romanzo come le battaglie, qua ridotte principalmente allo scontro della Beresina tra soldati Russi e Napoleonici alle porte di Mosca. Come si legano questi due elementi... beh... non è che si leghino al meglio e questo per via del fatto che Audrey Hepburn riteneva essenziale per la riuscita del film la prevalenza dell'aspetto filosofico del romanzo (sono d'accordo, ma credo che sopravvaluta gli spettatori dei film e non sà come si curi la loro riuscita commerciale), mentre i due produttori e Mel Ferrer volevano farne un supercolossal con la madre di tutte le battaglie (in tutte le epoche se metti lo spacca spacca, il grande pubblico è contento), frenando così quasi sempre le ambizioni artistiche volute dalla Hepburn. Nonostante queste due opposte visioni, quando può King Vidor riesce di tanto in tanto a far emergere l'aspetto intimistico e qualche sprazzo di sostrato filosofico qua e là (alcuni dialoghi di Pierre, la solidarietà di Natasha verso i feriti della battaglia della Beresina, il personaggio del generale Kutuzov, la lunga ritirata nel freddo e nel gelo della grande armata o il senso di impotenza di Napoleone al termine della ritirata che lascia presagire il suo futuro crollo).
Da lodare un paio di guizi registici come la macchina da presa in soggettiva che simula lo sguardo annebbiato in preda al delirio per febbre del principe Andrej quando vede Natasha (scelta stilistica uscita direttamente da Notorius di Hitchcock) e la soggettiva di Pierre sulla pistola quando egli è nascosto in una Mosca occupata dalla grande armata. Sono delle intuizioni registiche che rompono con la solita regia fatta di alternanza tra primi piani, campi medi e campi lunghi presente al solito in questi super kolossal dell'epoca (ma in generale di tanti film del cinema classico) dove la regia era totalmente al servizio del racconto e mirava solo a filmare il cosa, senza pensare al come. Di grande impatto visivo è la lunga scena di battaglia della Beresina (filmata da Mario Soldati), che riesce perfettamente a costruire le tattiche militari dell'epoca e senza avvalersi dei prodigi della CGI moderna (quindi se vedete che il terreno esplode e le palle di cannone sono "simulate" con i graffi alla pellicola, è perchè ovviamente la tecnologia dell'epoca non permetteva questo. Per una volta godetevi l'artigianalità del vecchio cinema). Di notevole interesse è la fotografia di Jack Cardiff (il leggendario DOP di Scarpette Rosse) che riesce a creare con i colori vividi straordinarie composizione cromatiche e costruisce le atmosfere tipiche del primo 800', riuscendo a simulare un'ambientazione russa (il film è girato in location Italiane e a Cinecittà). Il massimo lo raggiunge nelle scene nei teatri di posa, come quella del duello di Pierre con quel sole e quell'atmosfera ambientale tipica della Taiga russa; la scuola dei maestri Powell-Pressburger colpisce ancora.

Per quanto concerne gli attori; Audrey Hepburn veniva dal successo di Vacanze Romane e Sabrina e voleva cimentarsi in ruoli maturi... ora, non me la figuravo di certo come Natasha Rostova quando lessi il libro, ma l'attrice Belga è in parte e riesce a dare un pò di spessore ad un personaggio scritto in modo claudicante (già nella prima scena che la vede protagonsita, prima è tutta esaltata per i soldati che vanno in guerra e vorrebbe guidare lei la battaglia e poi poco dopo si dispera per coloro che non torneranno... deciditi bella mia) e smarcarsi un pò dalle solite interpretazioni femminili da melodramma in costume che rpendevano sempre Vivien Leigh e riferimento. Henry Fonda è un bravo attore ed ha senz'altro il personaggio scritto meglio di tutto il film, ma è troppo anziano per la parte e certe volte più che riservato, dà un'aria imbranata al suo personaggio (Marlon Brando rifiutò il ruolo, perchè aveva paura di essere messo in ombra dalla Hepburn, peccato...) e gli occhiali che indossa non lo aiutano nel compito. Mel Ferrer... viene massacrato all'unanimità dalla critica per il suo ritratto di Andrej. Per come è scritto il personaggio e per le perfomance dell'epoca in questi film, non è malaccio e pur avendolo visto recitare solo in Lilì, devo dire che tale attore quando ha a disposizione questi personaggi un pò aristocratici e decadenti, come viso ci sta benissimo, solo che ha un'unica espressione da porta ombrelli per tutto il film e cerca sempre la posa figa per la sua battuta ad effetto e questo lo porta a collassare nelle scene più intime dove deve dimostrare più trasporto emotivo; eppure la partner è sua moglie quindi la chimica dovrebbe venire automatica ed invece spesso ne esce distrutto dal confronto risultando troppo freddo e distaccato; evidentemente è uno di quei casi dove l'intimità privata non riesce ad essere ricreata sullo schermo. Infine abbiamo Vittorio Gassman nel suo tipico ruolo per quegli anni (lo sbruffone spaccone), ma riesce a farsi notare nonostante l'esiguo minutaggio. L'attore che più di tutti riesce ad esprimere il verbo di Tolstoj è Homolka, che coglie l'essenza e lo spirito del libro riuscendo ad essere un perfetto Kutozov.

Piccola curiosità; il film tutt'ora ha il record di spettatori in italia per un film (oltre 15 milioni), in pratica gli utenti anziani del sito o comunque cercando tra i nostri antenati, ci sarà sicuramente almeno un componente della nostra famiglia che lo avrà visto al cinema. Concludo dicendo, che è un film nè brutto e nè bello, e che alla fine presenta i tipici difetti di molti kolossal di quel periodo storico; ma per lo meno riesce ad essere interessante per il fatto di essere ambientato nell'800 e non nel solito periodo greco-romano e la solita religione messa in scena con il solito gigantismo Hollywoodiano. Quindi bravo a King Vidor per essere riuscito a portare a casa un film con tanti difetti, ma anche con i suoi pregi e tutto sommato alla fine dignitoso nonostante l'impresa tutt'altro che facile. Sinceramente non so se consigliarlo, se siete interessati ai vecchi kolossal d'annata e vi sta bene questo "sunto" del romanzo di Tolstoj, vi consiglio la visione senz'altro.


Ladyhawke di Richard Donner (1985).

Conoscevo il regista solo per Arma Letale 1 e Timeline (pietoso).
Buon film, un fantasy misto a storia sentimentale perché in realtà funziona sia come l'una che come l'altra.
Paesaggi magnifici del parco nazionale dell'Abruzzo meravigliosamente valorizzati dalla fotografia di Storaro. Una regia di Donner vhe riesce a creare scene di forte poesia su questo legame tra due amanti mai destinati a potersi toccare per via di una maledizione del vescovo.
Donner pur avendo un budget non elevato saggiamente resta su un piano intimo e da questo riesce a creare sequenze epiche.
Peccato che il regista non osi quando può e si abbandona a dialoghi da soap opera certe volte sino a quei 2 minuti finali stramelensi.
Colonna sonora particolare... non c'entra con il fantasy ma la scelta è voluta e comunque interessante.

Il Giorno dello Sciacallo di Fred Zinnemman (1973).

Ottimo film, ma é tutto tranne che un film d'azione. É um thriller politico che piace a chi é anti-sistema come me.

Zinnemann (che si conferma un regista sottovalutato), parte sempre dal sociale per dare delle coordinate spazio temporali, ma ciò che al regista interessa é sempre e soltanto il singolo individuo che deve affrontare le avversità sociali e della storia. Con il suo solito stile secco, asciutto e documentarista (Zinnemann nasce come regista di documentari), il film ci mostra minuziosamente la preparazione e la maniacalita' ai limiti della paranoia con cui questo mercenario (lo sciacallo), prepara l'attentato contro De Gaulle commissionatogli dall'OAS. Nascerà un intenso scontro tra questo mercenario e l'ispettore di polizia, mostrato tramite un sublime montaggio alternato e la corsa contro il tempo della polizia per cercare di fermare questo mercenario che giorno dopo giorno, sta arrivando alla meta del suo obiettivo.
Lo Sciacallo potrebbe rinunciare alla sua missione ed in effetti si trova ad un bivio ad un certo punto, ma la sua insondabile coscienza gli impone di portare a termine il lavoro, costi quel che costi. Edwards Fox é perfetto con il suo volto anonimo nel tratteggiare questo individuo di cui nulla sappiamo se non la missione ed il soprannome. È una macchina di morte che elimina e distrugge chiunque ostacoli il suo obiettivo lungo il suo viaggio solitario dove praticamente dice pochissime parole. Zinnemann con la sua regia ammira questo individuo, poiché segue il suo istinto e la sua indole poiché la coscienza per Zinnemann non fa' altro che esternalizzare la natura interiore dell'individuo e non ha alcuna pretesa di spingere l'individuo a compiere una scelta giusta moralmente.
La polizia é trattata con disprezzo per i suoi metodi brutali ed i politicanti sono visti cone utili idioti (De Gaulle in primis che ignora gli avvisi dei servizi segreti). Un ottimo film.

Soldato Jane di Ridley Scott (1997).

Ammazza che merda clamorosa... il peggior film di Scott che abbia visto.
Il dialogo scult tra Demi Moore (che con questo film dopo Ghost che ho visto con lei, si conferma una cagna recitativa, anche se a fisico...) e Vigo Mortensen, é da alzare le mani.
Fascista, maschilista, pseudo femminista (?), propagandistico etc... ma Anne Bancroft che ci fa' in sto schifo? Aveva bisogno di 20 euro? Glieli prestavo io; si deve vergognare tutta la vita per aver partecipato a sta robaccia (e l'anno prima aveva fatto il bellissimo Verso il Sole). Boh.... Bancroft alla frutta, Demi Moore no, perché per essere alla frutta un'apice devi avercelo avuto e quest'ultima non ce l'ha mai avuto.
view post Posted: 5/3/2018, 14:44 by: Henry V     +1Academy Awards ™ - Hollywood Reporter
Bah... Del Toro che fa la tripletta leone d'oro, golden globe e oscar. Per la colonna sonora ho trovato arduo individuare delle potenzialità da giustificarne la premiazione, dato che non va oltre il tema principale banale e orecchiabile. Inoltre ancora non riesco a spiegarmi la nomina di John Williams per SW8, è praticamente la stessa brodaglia del precedente.
view post Posted: 25/2/2018, 16:50 by: Eru     +1[SCHEDA] Batman Begins - BATMAN BEGINS
Che ne dite di questo video essay sul rapporto tra caos e ordine nella trilogia del Cavaliere Oscuro? La tesi è che Bruce deve sconfiggere tutti i suoi villain tematici che rappresentano alla fine i suoi conflitti interiori per riportare ordine a Gotham, ma anche nella sua vita: Scarecrow rappresenta la paura, Ras Al Ghul rappresenta l'ordine, Joker rappresenta il caos, Harvey Dent rappresenta l'odio e Bane rappresenta il dolore.

view post Posted: 13/2/2018, 14:04 by: Pessimismo Cosmico     +1Che film hai visto? - La Cineteca
Non sono per niente esperto del cinema tedesco dell'epoca ma direi che Murnau lo devi recuperare subito allora. Nosferatu che è il padre dell'horror (seppur l'ho trovato datato un pò... oggi non fà più paura), L'Ultima Risata (questo invece non l'ho trovato invecchiato per nulla). Di suo ci sarebbe Aurora che trovo sia il miglior melodramma mai visto, però sinceramente... non credo sia più cinema espressionista e lo girò in America... fu il primo film a vincere l'oscar.

Edited by MAN of STEEL - 13/2/2018, 15:41
3522 replies since 20/12/2008