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| Uno, Due, Tre! di Billy Wilder (1961). Billy Wilder ha sempre dichiarato come sua unica fonte d'ispirazione Ernst Lubitsch. Già vedendo Aranna (1957) ce ne eravamo accorti, ma con Uno. due, tre! l'omaggio al maestro è esplicito e Ninotchka è sicuramente uno dei riferimenti del film. Ad inizio degli anni 60, Wilder è oramai uno dei più grandi registi della storia del cinema e veniva da successi di pubblico enormi come A Qualcuno Piace Caldo (1959) e nel 1960, realizzò la più grande commedia americana di sempre, quel capolavoro totale dell'Appartamento, forte satira amara sull'arrivismo americano e lo sfruttamenti dei rapportu umani ed interpersonali. Il successo dell'Appartamento gli fruttò un'oscar miglior film e regia riuscendo a sconfiggere colossi come Psycho di Hitchcock. A quel punto della carriera, un regista come Wilder poteva ritirarsi definitivamente ed invece, decide di mettersiancora in gioco con una pellicola che ironizzasse in piena guerra fredda sulla tensioen tra blocco occidentale e blocco orientale.
Wilder deve essersi fortemente divertito nel girare questo film, che ha dalla sua una quantità esilarante di gag e scambi di battute arguti e sagaci sulla situazione di tensione tra i due blocchi che si contendevano il mondo all'epoca. Il film dura un'ora e quaranta che grazie al folle ritmo impresso da Billy Wilder, sembra che ne duri appena la metà del tempo. Questo permette allo spettatore di godersi un'opera secca, asciutta e che viaggia spedita verso la risoluzione di tutta questa ingarbugliata vicenda. McNamara è il classico opportunista viscido americano ben poco interessato alla felicità dei due giovani ed è costretto a prodigarsi per loro solo per non pagare eventuali conseguenze negative con il padre di Pamela, poichè questo significherebbe addio promozione. Otto invece è un giovane comunista di bei principi, ma totalmente rincoglionito dalla dottrina socialista e avvulso dalle effettive condizioni del settore orientale di Berlino e dalla mancanza di molti diritti civili elementari. Gli scambi tra questi due personaggi dalle opposte visioni dell'economia e della vita, sono vivaci e molto divertenti per uno spettatore abbastanza dotto di quel periodo storico (basta che sappiate anche qualcosa di base sulle basi del sistema economico comunista e capitalista e alcune cose di attualità all'epoca come la crisi dei missili cubani per godervi appieno il film) ed i siparietti continui dei dipendenti tedeschi sempre lugi al dovere, nascondono una tremenda verità sulla reale situazione della Germania occidentale, cioè; molti nazisti tedeschi si sono riciclati nella società civile e nell'amministrazione americana dopo la seconda guerra mondiale e quindi la de-nazificazione è stata solo di facciata.
Come ho già detto, questo ritmo sparato a 100 all'ora ha un unico ma importante difetto... fà venir meno ogni costruzione dei ritratti umani per cui Wilder è giustamente tanto lodato. McNamara, Otto, Pamela, la moglie, i segretari etc... sono solo figure catalizzatrici portatrici della propria prospettiva e destinate a non evolversi dalla propria visione. Questo consente di creare figure subito riconsocibili dallo spettatore, ma a lungo andare figure come Otto e Pamela risultano a lungo andare monotoni e ripetitivi, poichè suonano un'unica sinfonia per tutto il tempo. Interessante notare che ad eccezione di Cagney, gran parte del cast non annovera attori famosi e molti di essi sono anche locali. Non ci ritroviamo innanzi ad un capolavoro, ma ad un ottimo film intriso di cinismo Wilderiano, peccato che siccome era un genio assoluto del cinema, solo la storia poteva fermare tale autore ed infatti durante le riprese, venne eretto da un giorno all'altro il muro di Berlino. Questa cosa portò il pubblico a rifiutare in toto un film che ironizzava sulla situazione tra i due blocchi, quando in quel momento la realtà stava velocemente precipitando e anche la critica ci andò pesante nel massacrare il film. Sfortuna a parte, Uno, due, tre! al giorno d'oggi merita assolutamente di essere riscoperto perchè è tutt'altro un film che possiamo permetterci di dimenticare e risulta una delle commedie più intelligenti ad argomento satirico-politico. Non per Soldi... Ma per Denaro di Billy Wilder (1966). Tutti dicevano che dopo l'Appartamento, Billy Wilder entra in una spirale di decadenza e crisi artistica. Forse sono troppo fan di questo regista (e sticavoli, è Wilder, mica il primo scemo), ma dopo la visione di Non per soldi... ma per denaro, ho completato i film di Wilder degli anni 60' (con un bilancio di due capolavori e tre ottimi film) e posso dire con certezza che vorrei avere io una crisi così; quindi rimandiamo eventuali de profundis alle pellicole di Wilder degli anni 70', che purtroppo non ho ancora visionato. Non so cosa passasse in quel periodo Billy Wilder, ma sicuramente doveva essere molto negativo d'umore verso il genere umano visto che insieme a Baciami Stupido e l'Appartamento, è la pellicola più cinica e nera del regista.
Henry Hinkle (Jack Lemmon) è un giovane operatore della CBS che sta riprendendo una partita di football americano e per sua sfortuna in un'azione di gioco, viene travolto da un giocatore del Cleveland, Luther Jackson, con il risultato di prendersi una brutta botta ed essere trasportato d'urgenza in ospedale. William Gingrich (Walter Matthau), cognato di Henry e avvocato furbo e scaltro che campa truffando le assicurazioni, decide di ingigantire l'incidente inventandosi una paralisi ad una gamba e a tre dita di una mano chiedendo come danni un milione di dollari. Henry non vorrebbe partecipare a tale truffa e rifiuta segnosamente, finchè Gingrich non gli prospetta di poter riconquistare grazie a questa malattia simulata, la sua ex-moglie Sandy che lo aveva mollato per andarsene con un altro uomo. Come potete intuire, è una commedia nera basata su un argomento interessante e senz'altro di attualità come le truffe assicurative; almeno dalle mie parti è un classico fare apposta degli incidenti d'auto gonfiando i danni per poter ottenere soldi dalle assicurazioni (che a me stanno poco simpatiche. Ah! a scanso di equivoci... io possiedo a stento una bicicletta, sennò qua dentro qualche assicuratore mi fà a pezzi). Wilder mette alla berlina i rapporti interpersonali tra i parenti basati sul mero interesse economico e non sugli affetti. La critica del regista si muove in special modo verso la figura del viscido avvocato senza scrupoli che campa truffando le assicurazioni, le quali pur di non cacciare soldi sono pronte ad inventarsi ogni cavillo legale e ogni tipo di possibilità pur di non pagare. Anche l'ex-moglie Sandy ne esce fatta a pezzi dalla vicenda, visto che alla fine mira a parte dell'indennizo per soddifare le sue ambizioni lavorative personali. Con questi personaggi, la redenzione umana è molto più amara e tocca solamente i personaggi di Henry Hinkle e Luther Jackson, il quale accudisce e assiste quasi giornalmente il primo perchè incapace di darsi pace dell'incidente avvenuto per colpa sua. Per Wilder i perdenti di questo mondo, sono le persone semplici e che tentano di vivere in modo onesto; non fatevi ingannare dal finale che è tutt'altro che lieto visto che è solo un illusione che un bianco e nero puri d'animo, potranno uscire indenni questo mondo che appartiene ai milioni di Gingrich e Sandy.
Azzardando un'analisi ulteriore e visto anche l'anno d'uscita (il 1966), possiamo dire che la pellicola rappresenta uno scontro tra la vecchia Hollywood classica morente e destinata a vivere di finali illusori a lieta conclusione e la nuova Hollywood con individui abietti destinati a non pagare per le proprie azioni egative (l'avvocato la farà franca... questo sino a pochi anni prima non sarebbe stato possibile per la rigidità del codice Hayes). Possiamo dire Jack Lemmon rappresenta una tipologia di personaggi di statura morale (che l'attore ha quasi sempre incarnato sul grande schermo), destinati a soccombere, innanzi ad una nuova generazione di figure ciniche, spietate se non propriamente negative che le nuove generazioni di spettatori chiedevano a gran voce, cioè personaggi come Walter Matthau. Nonostante non sia un capolavoro poichè Wilder aveva affrontato i rapporti interpersonali in modo superiore nella ritrattistica umana nel precedente capolavoro Baciami Stupido del 1964, ci si ritrova inannzi all'ennesima grande commedia di questo regista straordinario. Inconcepibile che nonostante sia un film a passo con i tempi "cupi" in cui uscì, il pubblico rifiuterà quest'opera come in precedenza aveva rifiutato Baciami Stupido, si vede che per gli americani la commedia in linea di principio deve essere comunque positiva e non permeata da uno spirito cinico. A scapito di ciò il film ebbe 4 nomination all'oscar tra cui miglior sceneggiatura e Walther Mathau vinse meritatamente il premio oscar come miglior attore non protagonista, per il ritratto spietato e per nulla caricaturale di questo famelico avvocato senza scrupoli morali. Ad oggi comunque resta l'ennesimo film riuscito di questo titanico autore le cui commedie; che siano fiabe romantiche pure alla Sabrina o più cattive come Arianna o pellicole anarco folli come A Qualcuno piace Caldo, Uno, due, tre ! e Irma la Dolce o permeate da una forte satira nera come L' Appartamento, Baciami Stupido o la suddetta opera, non risultano datate in nulla dopo decenni e sono perfettamente fruibili da spettatori di ogni cultura, sesso ed estrazione sociale. Guerra e Pace di King Vidor (1956). Finito di leggere il matton... ehm... scusate il romazo voluminoso di Lev Tolstoj; Guerra e Pace, ho visto se c'erano degli adattamenti filmici della suddetta opera. Il più risalente e sopratutto facilmente reperibile era questo Guerra e Pace del 1956 co-prodotto dai capitali italiani della ditta dei produttori Ponti - De Laurentis insieme ai capitali americani della Paramount. La curiosità era alta, anche perchè alla regia c'è King Vidor di cui non ho mai visto nulla e che dicono essere capace e nel cast c'erano attori di serie "A" come Audrey Hepburn, Henry Fonda e Vittorio Gassman, il risultato... beh... non è positivo al massimo, ma neanche negativo. Premetto che recensirò l'edizione integrale del film da 3 ore e venti; non sarà un problema recuperarla perchè nel DVD del film vi è sia la versione italiana "ridotta" che quella integrale, ovviamente la visione consigliata è quest'ultima. Inoltre ci tengo a ribadire un concetto prima di cominciare; un libro è un libro (anche se in questo caso è un capolavoro come Guerra e Pace), mentre un film è un film. L'adattamento fedele non mi interessa e nulla ha a che fare con l'eventuale riuscita o qualità del film, che per quanto mi riguarda può anche semplificare o edoculturare certe cose, ma se l'insieme funziona cinematograficamente, poco importa (sono molte le battaglie in proposito che combatto contro i nerd sui film tratti dai fumetti e purtroppo sono anni che sono sconfitto da tali fanatici). Chi come il sottoscritto ha letto Guerra e Pace, sa benissimo che è un'impresa faraonica adattarlo in un film dalla durata comunque prestabilita. Secondo la preziosa biografia di Spoto su Audrey Hepburn, viene rivelato che Ponti e De Laurentis presero il romanzo a spacchettarono in blocchi da 200 pagine affidandolo a vari gruppi di scneggiatori. King Vidor ricevuto il lavoro si ritrovò innanzi ad una sceneggiatura per forza di cose disorganica e priva di qualunque unità stilistica e cestinò il lavoro e scrisse di proprio pugno, insieme ad un gruppo imprecisato di altri collaboratori tra cui Mario Soldati (che diresse alcune sequenze del film) e Camerini, una nuova sceneggiatura ex-novo. Vidor decide di costruire il film su tre personaggi; Natasha (Audrey Hepburn), Pierre (Henry Fonda) e Andrej (Mel Ferrer) più o meno credibili e approfonditi; sacrificando tutte le altre vicende e varie famiglie, nonchè semplificare il sostrato filosofico e molte vicende del romanzo. Tale scelta non piacque per niente alla critica americana dell'epoca (Crowther in primis) che attaccò il film giudicandolo freddo ed artificioso. A mio parere Vidor ha fatto una scelta sensata, perchè neanche con un film da 10 ore poteva accontentare la critica fanatica che voelva un film fedele al libro, cosa assolutamente impossibile. Il problema principale del film, sono in assoluto i primi 45 minuti, veramente terribili con vari cambi di scena ed cambi di location che si susseguono repentinamente, così come una miriade di personaggi minori e vicende che passano senza sosta e mandano in crisi anche lo spettatore più paziente. In effetti la pecca primaria del film, sono le numerosi ellissi di montaggio che trasportano lo spettatore di qua e di là (d'altronde il film si svolge in un lungo arco temporale che và dal 1805 al 1813) e che hanno il compito di mettere una pezza varie vicende che vengono lasciate fuori campo ed accennate allo spettatore tramite informazioni date dai dialoghi dei personaggi. Fortunatamente verso lo scoccare della prima ora, le ellissi e le transizioni di montaggio si attenuano molto e seppur di tanto in tanto presenti, sono gestite con molto più garbo.
La pellicola fonde l'aspetto melodrammatico (chi s'aggiudica il culo della nostra bella Natasha per farla breve) con gli aspetti più epici del romanzo come le battaglie, qua ridotte principalmente allo scontro della Beresina tra soldati Russi e Napoleonici alle porte di Mosca. Come si legano questi due elementi... beh... non è che si leghino al meglio e questo per via del fatto che Audrey Hepburn riteneva essenziale per la riuscita del film la prevalenza dell'aspetto filosofico del romanzo (sono d'accordo, ma credo che sopravvaluta gli spettatori dei film e non sà come si curi la loro riuscita commerciale), mentre i due produttori e Mel Ferrer volevano farne un supercolossal con la madre di tutte le battaglie (in tutte le epoche se metti lo spacca spacca, il grande pubblico è contento), frenando così quasi sempre le ambizioni artistiche volute dalla Hepburn. Nonostante queste due opposte visioni, quando può King Vidor riesce di tanto in tanto a far emergere l'aspetto intimistico e qualche sprazzo di sostrato filosofico qua e là (alcuni dialoghi di Pierre, la solidarietà di Natasha verso i feriti della battaglia della Beresina, il personaggio del generale Kutuzov, la lunga ritirata nel freddo e nel gelo della grande armata o il senso di impotenza di Napoleone al termine della ritirata che lascia presagire il suo futuro crollo). Da lodare un paio di guizi registici come la macchina da presa in soggettiva che simula lo sguardo annebbiato in preda al delirio per febbre del principe Andrej quando vede Natasha (scelta stilistica uscita direttamente da Notorius di Hitchcock) e la soggettiva di Pierre sulla pistola quando egli è nascosto in una Mosca occupata dalla grande armata. Sono delle intuizioni registiche che rompono con la solita regia fatta di alternanza tra primi piani, campi medi e campi lunghi presente al solito in questi super kolossal dell'epoca (ma in generale di tanti film del cinema classico) dove la regia era totalmente al servizio del racconto e mirava solo a filmare il cosa, senza pensare al come. Di grande impatto visivo è la lunga scena di battaglia della Beresina (filmata da Mario Soldati), che riesce perfettamente a costruire le tattiche militari dell'epoca e senza avvalersi dei prodigi della CGI moderna (quindi se vedete che il terreno esplode e le palle di cannone sono "simulate" con i graffi alla pellicola, è perchè ovviamente la tecnologia dell'epoca non permetteva questo. Per una volta godetevi l'artigianalità del vecchio cinema). Di notevole interesse è la fotografia di Jack Cardiff (il leggendario DOP di Scarpette Rosse) che riesce a creare con i colori vividi straordinarie composizione cromatiche e costruisce le atmosfere tipiche del primo 800', riuscendo a simulare un'ambientazione russa (il film è girato in location Italiane e a Cinecittà). Il massimo lo raggiunge nelle scene nei teatri di posa, come quella del duello di Pierre con quel sole e quell'atmosfera ambientale tipica della Taiga russa; la scuola dei maestri Powell-Pressburger colpisce ancora.
Per quanto concerne gli attori; Audrey Hepburn veniva dal successo di Vacanze Romane e Sabrina e voleva cimentarsi in ruoli maturi... ora, non me la figuravo di certo come Natasha Rostova quando lessi il libro, ma l'attrice Belga è in parte e riesce a dare un pò di spessore ad un personaggio scritto in modo claudicante (già nella prima scena che la vede protagonsita, prima è tutta esaltata per i soldati che vanno in guerra e vorrebbe guidare lei la battaglia e poi poco dopo si dispera per coloro che non torneranno... deciditi bella mia) e smarcarsi un pò dalle solite interpretazioni femminili da melodramma in costume che rpendevano sempre Vivien Leigh e riferimento. Henry Fonda è un bravo attore ed ha senz'altro il personaggio scritto meglio di tutto il film, ma è troppo anziano per la parte e certe volte più che riservato, dà un'aria imbranata al suo personaggio (Marlon Brando rifiutò il ruolo, perchè aveva paura di essere messo in ombra dalla Hepburn, peccato...) e gli occhiali che indossa non lo aiutano nel compito. Mel Ferrer... viene massacrato all'unanimità dalla critica per il suo ritratto di Andrej. Per come è scritto il personaggio e per le perfomance dell'epoca in questi film, non è malaccio e pur avendolo visto recitare solo in Lilì, devo dire che tale attore quando ha a disposizione questi personaggi un pò aristocratici e decadenti, come viso ci sta benissimo, solo che ha un'unica espressione da porta ombrelli per tutto il film e cerca sempre la posa figa per la sua battuta ad effetto e questo lo porta a collassare nelle scene più intime dove deve dimostrare più trasporto emotivo; eppure la partner è sua moglie quindi la chimica dovrebbe venire automatica ed invece spesso ne esce distrutto dal confronto risultando troppo freddo e distaccato; evidentemente è uno di quei casi dove l'intimità privata non riesce ad essere ricreata sullo schermo. Infine abbiamo Vittorio Gassman nel suo tipico ruolo per quegli anni (lo sbruffone spaccone), ma riesce a farsi notare nonostante l'esiguo minutaggio. L'attore che più di tutti riesce ad esprimere il verbo di Tolstoj è Homolka, che coglie l'essenza e lo spirito del libro riuscendo ad essere un perfetto Kutozov.
Piccola curiosità; il film tutt'ora ha il record di spettatori in italia per un film (oltre 15 milioni), in pratica gli utenti anziani del sito o comunque cercando tra i nostri antenati, ci sarà sicuramente almeno un componente della nostra famiglia che lo avrà visto al cinema. Concludo dicendo, che è un film nè brutto e nè bello, e che alla fine presenta i tipici difetti di molti kolossal di quel periodo storico; ma per lo meno riesce ad essere interessante per il fatto di essere ambientato nell'800 e non nel solito periodo greco-romano e la solita religione messa in scena con il solito gigantismo Hollywoodiano. Quindi bravo a King Vidor per essere riuscito a portare a casa un film con tanti difetti, ma anche con i suoi pregi e tutto sommato alla fine dignitoso nonostante l'impresa tutt'altro che facile. Sinceramente non so se consigliarlo, se siete interessati ai vecchi kolossal d'annata e vi sta bene questo "sunto" del romanzo di Tolstoj, vi consiglio la visione senz'altro. Ladyhawke di Richard Donner (1985). Conoscevo il regista solo per Arma Letale 1 e Timeline (pietoso). Buon film, un fantasy misto a storia sentimentale perché in realtà funziona sia come l'una che come l'altra. Paesaggi magnifici del parco nazionale dell'Abruzzo meravigliosamente valorizzati dalla fotografia di Storaro. Una regia di Donner vhe riesce a creare scene di forte poesia su questo legame tra due amanti mai destinati a potersi toccare per via di una maledizione del vescovo. Donner pur avendo un budget non elevato saggiamente resta su un piano intimo e da questo riesce a creare sequenze epiche. Peccato che il regista non osi quando può e si abbandona a dialoghi da soap opera certe volte sino a quei 2 minuti finali stramelensi. Colonna sonora particolare... non c'entra con il fantasy ma la scelta è voluta e comunque interessante. Il Giorno dello Sciacallo di Fred Zinnemman (1973). Ottimo film, ma é tutto tranne che un film d'azione. É um thriller politico che piace a chi é anti-sistema come me. Zinnemann (che si conferma un regista sottovalutato), parte sempre dal sociale per dare delle coordinate spazio temporali, ma ciò che al regista interessa é sempre e soltanto il singolo individuo che deve affrontare le avversità sociali e della storia. Con il suo solito stile secco, asciutto e documentarista (Zinnemann nasce come regista di documentari), il film ci mostra minuziosamente la preparazione e la maniacalita' ai limiti della paranoia con cui questo mercenario (lo sciacallo), prepara l'attentato contro De Gaulle commissionatogli dall'OAS. Nascerà un intenso scontro tra questo mercenario e l'ispettore di polizia, mostrato tramite un sublime montaggio alternato e la corsa contro il tempo della polizia per cercare di fermare questo mercenario che giorno dopo giorno, sta arrivando alla meta del suo obiettivo. Lo Sciacallo potrebbe rinunciare alla sua missione ed in effetti si trova ad un bivio ad un certo punto, ma la sua insondabile coscienza gli impone di portare a termine il lavoro, costi quel che costi. Edwards Fox é perfetto con il suo volto anonimo nel tratteggiare questo individuo di cui nulla sappiamo se non la missione ed il soprannome. È una macchina di morte che elimina e distrugge chiunque ostacoli il suo obiettivo lungo il suo viaggio solitario dove praticamente dice pochissime parole. Zinnemann con la sua regia ammira questo individuo, poiché segue il suo istinto e la sua indole poiché la coscienza per Zinnemann non fa' altro che esternalizzare la natura interiore dell'individuo e non ha alcuna pretesa di spingere l'individuo a compiere una scelta giusta moralmente. La polizia é trattata con disprezzo per i suoi metodi brutali ed i politicanti sono visti cone utili idioti (De Gaulle in primis che ignora gli avvisi dei servizi segreti). Un ottimo film. Soldato Jane di Ridley Scott (1997). Ammazza che merda clamorosa... il peggior film di Scott che abbia visto. Il dialogo scult tra Demi Moore (che con questo film dopo Ghost che ho visto con lei, si conferma una cagna recitativa, anche se a fisico...) e Vigo Mortensen, é da alzare le mani. Fascista, maschilista, pseudo femminista (?), propagandistico etc... ma Anne Bancroft che ci fa' in sto schifo? Aveva bisogno di 20 euro? Glieli prestavo io; si deve vergognare tutta la vita per aver partecipato a sta robaccia (e l'anno prima aveva fatto il bellissimo Verso il Sole). Boh.... Bancroft alla frutta, Demi Moore no, perché per essere alla frutta un'apice devi avercelo avuto e quest'ultima non ce l'ha mai avuto.
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